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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2014 alle ore 14:52.

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L'amministratore delegato di Faac non conferma e non smentisce la notizia che circola di un imminente accordo tra la curia di Bologna e i parenti di Michelangelo Manini per chiudere il contenzioso civile sull'eredità del proprietario della multinazionale dei cancelli di Zola Predosa. Ma è sicuro di una cosa: «Questi due anni di vicissitudini giudiziarie – spiega Andrea Macellan - hanno bloccato la crescita del gruppo e qualsiasi investimento. Il dissequestro degli asset aziendali permetterebbe di rimettere in moto un piano industriale che prevedeva di toccare il mezzo miliardo di fatturato l'anno prossimo. Siamo fermi a 300 milioni».

Manini è morto il 17 marzo 2012 e da allora la guerra tra eredi legittimi (Mariangela Manini e Carlo Rimondi, rispettivamente cugina e zio del defunto) e l'Arcidiocesi bolognese, unico beneficiario testamentario, è stata una telenovela dentro e fuori le aule del tribunale civile, con la cugina che pochi mesi dopo la morte dell'imprenditore rivela di essere la sua sorella segreta e poi un susseguirsi infinito di denunce, indagini e perizie che ancora non ha portato a nulla. Perché Faac resta sotto sequestro cautelare, in attesa che gli esperti grafologi si pronuncino sull'autenticità dei testamenti olografi lasciati da Michelangelo Manini, in base ai quali l'intera eredità - 1,7 miliardi tra cui il 66% della multinazionale dei cancelli (il restante 34% è della francese Somfy) – spetterebbe alla Curia bolognese. Con grande scorno dei parenti che negano l'autenticità di quelle carte.
La proposta transattiva, valutata in decine di milioni di euro, estinguerebbe il contenzioso civile, che rischia di trascinarsi fino a febbraio 2015, stando ai tempi stabiliti del giudice. Troppo tempo – assicura Macellan - un altro anno con il custode cautelare a fungere da azionista di controllo, bloccando di fatto qualsiasi movimento di capitale, per non compromettere la salute di un gruppo che lavora in 30 Paesi, con 1.600 dipendenti, 16 stabilimenti tra Italia e all'estero, il 75% di export. Cugina e zio del defunto smentiscono di avere già firmato un'intesa con l'arcidiocesi, ma confermano recenti contatti per trovare una via d'uscita alternativa a quella in tribunale.

«Abbiamo chiuso il bilancio 2013 con un incremento del fatturato dell'1% sull'anno prima – afferma l'ad di Faac – attorno ai 300 milioni di euro e con lo stesso risultato di Ebitda, 49,2 milioni. Non siamo andati male, ma la previsione del piano industriale stilato da Manini era di mantenere il tasso medio di crescita annuo che tra il 2009 e il 2012 si è attestato al 17% per i ricavi e all'11,3% per la redditività». E anche il budget 2014 è a crescita zero, fatto salvo il consolidamento dell'acquisizione del pacchetto di minoranza di Rossi, piccola azienda elettromeccanica brasiliana (20 milioni di ricavi e 220 dipendenti) operazione che il colosso bolognese dei cancelli aveva definito già due anni fa.

«Proprio a causa del sequestro non siamo invece riusciti a portare a termine un anno fa la più grossa acquisizione della storia di Faac, l'Opa su una società francese del settore che ci avrebbe permesso di diventare il quinto player mondiale dell'automazione e del controllo accessi», ricorda l'amministratore delegato.

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