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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 18 giugno 2014 alle ore 06:57.

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SHANGAHI. Dal nostro inviato
Il rumore dei telai in mostra negli stand è assordante, ma ci sta. «I compratori, è normale, vogliono sentire, letteralmente, come funzionano le nostre macchine - dice Arun, global marketing manager di Laksmi, espositore indiano di peso, presente a Itma Asia 2014, la rassegna delle macchine tessili in corso a Shanghai fino a venerdì 20 giugno, la più importante di tutta l'Asia - loro compreranno quelle che "sentono" più in linea con il loro bisogno di efficienza».
Vinceranno le aziende migliori, insomma. E gli italiani, com'è noto, non hanno nulla da temere. Creatività, tecnologia sostenibile, affidabilità e qualità sono le caratteristiche che hanno reso le macchine tessili italiane leader in tutto il mondo. Gli italiani sono famosi per le loro capacità tecniche, ben 110 le aziende del made in Italy presenti qui su 4.750 metri quadri impegnati nel settore nazionale organizzato dall'Associazione dei costruttori Italiani di macchinari tessili (Acimit) aderente a Confindustria e dall'Ice, l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane guidata a Shanghai da Claudio Pasqualucci, il general commissioner Ice che conferma: «Questo settore è cruciale per la manifattura made in Italy, non possiamo non sostenerla sui mercati emergenti». E, quindi, ecco ben quattro cluster nei padiglioni della filatura, dei nontessuti, della tessitura e in quello delle macchine per finissaggio.
Le circa 300 aziende aderenti ad Acimit impiegano circa 11mila addetti che producono macchinari per un valore di circa 2,3 miliardi di euro, di cui l'84% viene esportato. La percentuale espositiva è cresciuta del 2 per cento. L'Asia è più che mai un mercato di sbocco essenziale del business italiano di macchine tessili, assorbendo il 44% delle vendite all'estero.
Le principali destinazioni dell'area per le nostre aziende sono Cina, India, Pakistan, Bangladesh e Indonesia. Il mercato cinese, da solo, assorbe il 20% delle macchine italiane vendute all'estero, per un valore che ha raggiunto i 327 milioni di euro nel 2013. È la destinazione primaria per esportazioni italiane. Gli ultimi mesi hanno imposto un ritmo più lento che, però, nulla toglie al valore delle aziende italiane.
«Da anni ormai - dice Raffaella Carabelli, presidente di Acimit - siamo stabilmente presenti in Cina. La conoscenza del mercato è fondamentale per soddisfare le nuove richieste del tessile locale. Oggi, in particolare, i costruttori italiani sono in grado di offrire una tecnologia sostenibile attenta ai consumi energetici di acqua, di prodotti chimici e contemporaneamente rispettosa dell'ambiente, come testimonia la forte adesione al nostro progetto Sustainable Technologies da parte delle aziende associate. Per le aziende tessili cinesi avere un partner tecnologico innovativo e sostenibile, con un bollino verde, quale è il meccanotessile italiano, rappresenta un fondamentale vantaggio competitivo».
Qual è il segreto delle nostre aziende? L'innovazione. Per capirlo meglio basta chiederlo a Michele Riva, ceo della Reggiani (gruppo Tesmec), tra i quattro big nostrani delle macchine per la stampa digitale. «Questo è il futuro, viaggiamo ormai al ritmo da 4 a 8 macchine vendute al mese, non si può più tornare indietro. Non solo per la resa estetica, ma anche per i risparmi in termini di prodotto, un tempo, invece, era completamente diverso. Posso dirlo con grande franchezza – rintuzza Riva – il tessile in molti Paesi europei era ormai defunto, la tecnica di stampaggio digitale l'ha risollevata. Anche rispetto ai competitor giapponesi o austriaci, continiuiamo a essere i migliori».
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