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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2014 alle ore 06:39.

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MILANO
Per dirla con una metafora calcistica, l'atmosfera che si respirava ieri durante l'assemblea annuale di Federchimica, giunta al suo trentesimo compleanno, era da dentro o fuori. Nella relazione di Cesare Puccioni – rieletto presidente degli industriali chimici fino al 2017 – si avvertiva tutta la tensione positiva di chi sa che lo «spiccare il volo» è alla portata. E mai come in questo caso resta solo un ultimo miglio da percorrere.
Del resto dal primo quadrimestre arrivano segnali congiunturali positivi: +2,9% la produzione con un +1% di domanda interna e dopo il -1,8% del 2013; un export in espansione (+4% in volume e +1,5% in valore in cui spicca la chimica fine e specialistica); previsioni di chiusura d'anno con +2% di produzione. Insomma, segni positivi che spingono ancora di più la corazzata dell'industria chimica italiana (52 miliardi di euro di valore della produzione nel 2013; terzo produttore chimico europeo dopo Germania e Francia) a sentirsi davanti a un bivio.
Da parte delle imprese c'è però come l'amara consapevolezza di non sentirsi purtroppo le sole artefici della propria fortuna. «L'efficienza della pubblica amministrazione è un must delle imprese chimiche e di Federchimica, perché prima degli altri siamo consapevoli che ne va della sopravvivenza dell'industria nel nostro Paese», spiega il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi senza nascondere la sua «emozione» per il ritorno a casa, fra gli industriali della chimica.
E quindi, se «la chimica è uno dei settori, se non il settore, dove la competitività dipende di più proprio dalle condizioni esterne delle imprese», il presidente di Federchimica Puccioni – durante l'assemblea cui hanno preso parte anche il governatore della Lombardia Roberto Maroni, il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, il commissario Ue uscente all'Industria Antonio Tajani e l'economista Alberto Quadrio Curzio – non deve far altro che aprire il cahier de doleances che purtroppo si ripete anno dopo anno. Un numero su tutti: «Su dieci ricercatori tre sono ormai completamente assorbiti da attività di regolamentazione, di fatto sottratti alla ricerca». Sia chiaro, puntualizza Puccioni: «Non vogliamo meno controlli, ma la chimica deve essere regolamentata in modo semplice, chiaro e stabile, con un'amministrazione al servizio delle imprese e non contro di esse».
Scendendo poi nel dettaglio, il Sistri «è un sistema di tracciabilità dei rifiuti pericolosi sconosciuto in tutti gli altri Paesi europei». C'è poi «il costo dell'energia: le nostre imprese non possono sostenere un divario di costo del 30% con i competitor». E lì dove non arriva l'Italia ci si mette l'Europa. «Quando guardo a cosa il Reach ha comportato per le imprese chimiche italiane ed europee c'è da rabbrividire».
Un capitolo a parte, vista anche la presenza del ministro Lupi, Puccioni lo dedica alla logistica, «divenuta un fattore strategico che incide annualmente pe oltre 5 miliardi di euro sul conto economico delle imprese». Serve «una razionalizzazione», a partire dal fatto che in Italia «esistono 24 Autorità portuali». Guardando poi al trasporto su rotaia, «dagli oltre mille scali ferroviari esistenti nel Paese prima del 2000 si è scesi a 227, di cui solo 67 abilitati al trasporto di "merci pericolose"». Insomma, una razionalizzazione, quella del gruppo Fs, che «di fatto ha obbligato le imprese a riprendere l'uso del sistema stradale». Tutti insieme, questi sono fardelli tanto più insopportabili per un'industria chimica che ha pagato un tributo visto che «si stima che durante la crisi siano stati persi 10mila posti di lavoro e chiusi un centinaio di impianti chimici», ma che «possiede un incredibile patrimonio di imprenditorialità, tecnologia, risorse umane, creatività e ha resistito tenacemente alla crisi».
Non a caso «l'incidenza delle sofferenze sui prestiti bancari è la più bassa nel panorama italiano, pari al 5,5% a fronte del 17% della media industriale». Allo stesso modo «con quasi 28 miliardi di export la chimica è diventata il secondo settore esportatore italiano, dietro solo alla meccanica strumentale» e inoltre «in 10 anni la quota di imprese chimiche attive nella ricerca è aumentata di 10 punti percentuali e il loro numero, oltre 800, è preceduto in Europa solo da quello della Germania». La chimica ha fatto i compiti a casa. Ora non resta che attendere le risposte.
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