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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2014 alle ore 06:39.

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BOLOGNA
«Abbiamo un'Europa monolitica nell'imporre le regole ma non nell'affrontare i mercati. La Germania va da sola in Cina come sistema Paese per spingere il business delle proprie aziende e fa concorrenza alle nostre. Siamo i primi a credere nella Ue e lo abbiamo dimostrato con il voto di un mese fa, ma come imprenditori emiliani possiamo incolparci solo di non investire abbastanza in R&S. Per tutto il resto condividiamo le critiche che ci muovono i colleghi tedeschi, ma il gap competitivo non dipende da noi, che sia il costo dell'energia, il cambio euro-dollaro, il sistema formativo, la burocrazia». Le parole di Andrea Malagoli, consigliere esecutivo di Ima, sono il riassunto dell'acceso dibattito tra imprenditori dei due versanti alpini che si è aperto ieri al tavolo italo-tedesco all'Alma Graduate school di Bologna. Perché tra il rigore tedesco e la flessibilità italiana non è semplice trovare il punto di equilibrio, in politica come nell'industria.
Ima, il gruppo bolognese leader nelle macchine automatiche per il confezionamento farmaceutico e di tè, caffè, alimenti – 761 milioni di ricavi, 92% export di cui l'8% verso la Germania – fino a pochi mesi fa controllava due aziende tedesche, Stephan Machinery e Kilian, tuttora ha un'unità commerciale a Colonia e non esclude nuovi investimenti in un settore come il packaging in cui le similitudini industriali ma anche la competizione Italia-Germania sono più strette. «Assieme, noi e i tedeschi, valiamo il 55% dell'export mondiale, ma pur avendo tanto in comune siamo ancora lontani dall'essere un unico made in Europe. L'impressione è che i leader tedeschi ci guardino più come concorrenti pericolosi che come partner – è critico Giuseppe Lesce, presidente di Ucima, l'unione dei costruttori italiani di macchine automatiche – e che siano più crucciati del nostro secondo posto di player nella classifica mondiale che del terzo posto conquistato dai cinesi, che invece dev'essere il vero motivo di preoccupazione».
Tende una mano ai "cugini" emiliani Wolf Dieter Baumann, presidente di Ippt Gmbh (gruppo Romaco, che l'anno scorso ha acquisito Kilian da Ima) esortandoli a un cammino condiviso sulla formazione, la contaminazione di best practice aziendali, l'interscambio di competenze. «Ma c'è un problema di diversità anche finanziaria tra le nostre Pmi – spiega Tomaso Tarozzi, ad del gruppo ravennate di automazione e robotica Bucci, che da 40 anni lavora in Germania – le cui risorse dipendono ancora per un 80% dal credito bancario, e quelle tedesche in cui il dato è al 40%, la metà. Senza un rapporto strutturale di lungo termine che coinvolga anche le banche non riusciremo nell'intento di rafforzarci come industria europea per strappare quote crescenti del commercio mondiale».
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