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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 26 giugno 2014 alle ore 06:49.

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Fermate l'aumento delle accise di gennaio sulla birra e salverete in extremis 2.400 posti di lavoro: l'appello è stato lanciato ieri da Assobirra, l'associazione dei produttori, che secondo uno studio realizzato da Ref stima che gli aumenti della fiscalità (+30% in 15 mesi) programmati dal governo genereranno, a causa della flessione dei consumi (-5%), appena il 40% delle risorse attese: 68 milioni di euro invece di 177. Oggi il peso fiscale (accisa più Iva) su una bottiglia da 66 cl di birra acquistata al supermercato è già del 40% ma da gennaio arriverà a sfiorare il 45%.
«La birra – spiega Alberto Frausin, presidente di AssoBirra – è l'unica bevanda alcolica da pasto gravata da accisa in Italia e il governo ha deciso di aumentare ancora la tassazione. Ma quando aumentano le tasse il prezzo della birra sale, si riducono i consumi e anche lo Stato non guadagna quello che ha programmato. Mentre l'effetto depressivo di questi aumenti sull'occupazione, soprattutto giovanile, è garantito».
Secondo Assobirra, con i primi due aumenti delle accise si sono bruciati 1.200 posti di lavoro in settori strategici come l'industria alimentare, l'agricoltura, la distribuzione, bar e ristoranti. «Ma siamo ancora in tempo a fermare l'ultimo aumento previsto a gennaio – aggiunge Frausin – salvaguardando in questo modo la fonte di reddito di 1.200 famiglie italiane. E centomila italiani che hanno firmato la petizione a favore dello stop al terzo ritocco delle accise sulla birra».
In dettaglio, il governo ha avviato, a ottobre scorso, un piano di rialzo dell'accisa sui prodotti alcolici in più fasi: due aumenti sono già entrati in vigore, uno a ottobre 2013, l'altro a gennaio 2014. L'ultimo, più sostanzioso, è previsto invece a gennaio 2015: l'innalzamento complessivo della tassazione alla fine sarà del 30% maturato in poco più di un anno.
Secondo Ref, l'effetto netto dell'accisa sul bilancio pubblico, misurato ex-ante pari a 177 milioni includendo l'Iva, e ridottosi a soli 116 milioni per effetto della contrazione delle quantità vendute di birra sul gettito delle accise, si ridimensiona ulteriormente, portandosi a soli 68 milioni una volta tenuto conto degli effetti della riduzione dei consumi sul Pil.
Alla fine lo Stato si ritroverà ad aver incassato solo 68 milioni effettivi (il 62% in meno di quanto sperato), avendo però prodotto un effetto drammatico sui posti di lavoro (-2.400 complessivi), in settori a forte impiego giovanile: primo fra tutti il commercio (-568 posti di lavoro), poi l'industria alimentare (-431 posti di lavoro), ma anche l'agricoltura (-388) e alberghi e ristorazione (-378).
Le stesse osservazioni sugli effetti depressivi indotti da un eccesso di fiscalità sono state recentemente avanzate nell'assemblea di Federvini e il vice ministro alle Politiche agricole Andrea Olivero aveva risposto: «Affronteremo il problema. La soluzione potrebbe trovarsi nell'ambito dell'armonizzazione delle accise», contemplata dalla riforma fiscale.
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