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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 06:38.


MILANO
Un fatturato di circa 3,7 miliardi a fronte di una produzione di 7,6 milioni di tonnellate (trasformate in 4 di vergella, 2 di tondo e una di barre e billette laminate), per una perdita di 60 milioni.
È la sintesi del primo bilancio di Riva Forni Elettrici, la holding creata un anno fa dalla famiglia Riva per separare le attività dei «piani» (quelli riconducibili alla galassia Ilva) dai «lunghi». In Rfe confluiscono Riva Acciaio (7 siti del nord Italia) e le attività europee (15 siti, più uno in Canada) raggruppate sotto la holding lussemburghese Stahlbeteiligungen (che a sua volta chiude in rosso per 18,6 milioni dopo svalutazioni e operazioni infragruppo di compensazione debiti-crediti).
L'operazione Rfe non è servita a lasciare l'«altra metà» della galassia Riva indenne dai contraccolpi dell'azione della Procura di Taranto. Le vicende di settembre, relative all'estensione dei provvedimenti di sequestro su Ilva a Riva Acciaio, hanno impattato, secondo gli amministratori, anche sul primo bilancio di Rfe, producendo, si legge nel bilancio, una «forzata totale inattività per almeno quattro mesi». Difficile stimarne le esatte conseguenze sul conto economico del gruppo (oltre 5mila dipendenti). La ripartizione geografica della produzione (confrontata con l'anno precedente) offre però una parziale conferma della ricostruzione degli amministratori. Il calo di output di Rfe sul 2012 è stato del 2,2%, riconducibile alla produzione italiana, scesa del 15,7% (da 1,557 milioni di tonnellate a 1,346). In equilibrio gli altri mercati, che costituiscono la parte preponderante dell'aggregato: in Francia l'output è stato di 2,563 milioni di tonnellate (2,577 l'anno prima), in Germania 2,156 (2,209 nel 2012) in Belgio e in Spagna si è registrato un leggero incremento. Gli scostamenti, tuttavia, sono in linea con la congiuntura del 2013, che segnala un pesante arretramento italiano, a fronte di un sostanziale equilibrio di nazioni come Germania, Francia e la stessa Spagna. Il gruppo mantiene il suo peso in Europa sia nell'acciaio grezzo (6,4%) che nel settore dei laminati lunghi (12,2%). Precisando che «gli effetti dei sequestri sono ancora in fase di consuntivazione», nella relazione si lamentano, tra gli altri fattori, «il blocco dei contratti bancari, l'inasprimento dei tassi applicati dagli istituti di credito, l'impossibilità di accedere a nuove linee di finanziamento e di effettuare spedizioni di materiale già ordinato e pronto a terra, la modifica delle condizioni di pagamento applicate ai fornitori». L'anno scorso il gruppo ha iscritto in bilancio oneri finanziari netti per 14 milioni. I debiti a breve sono pari a 377 milioni, ai quali si aggiungono 493 milioni ai fornitori e altri debiti per 80 milioni. Le disponibilità liquide ammontano a 122,6 milioni, di cui «61 miloni – si legge – svincolati solo nel primo trimestre» dell'anno in corso.
L'emergenza italiana sembra ora riassorbita: in Valcamonica gli impianti marciano a pieno ritmo, tanto che sono stati conclusi in anticipo i contratti di solidarietà. I dati del primo trimestre segnalano un fatturato in aumento a 976 milioni, a fronte di una produzione di 2,162 milioni di tonnellate. La stessa famiglia (il bilancio è firmato dal presidente Cesare Riva) si attende un miglioramento nell'esercizio in corso, depurato da eventi straordinari. L'obiettivo del gruppo, che l'anno scorso ha investito 84 milioni in impianti e macchinari, è tornare ai livelli produttivi del 2012, anche se «restano criticità in alcuni dei paesi in cui opera Rfe e questi aspetti potrebbero influenzare negativamente i margini».
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