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Ilva, la settimana calda di Taranto tra referendum degli operai e protesta…

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accordo alla prova del consenso

Ilva, la settimana calda di Taranto tra referendum degli operai e protesta contro M5S

Come ogni giorno, anche lunedì 10 settembre varcheranno i cancelli dell’acciaieria poco dopo l’alba gli operai del primo turno dell’Ilva di Taranto. Strisceranno il badge nelle macchinette, saliranno sui bus aziendali in attesa e raggiungeranno i posti di lavoro: altiforni, colate continue, acciaierie, officine centrali; le mille postazioni di questa fabbrica grande più di Taranto, tra capannoni enormi e chilometri di strade e binari. Sembrerà un giorno come un altro ma non lo è.

Perché da lunedì , e per una settimana, gli operai dell’Ilva sono chiamati a valutare (e ad approvare o bocciare col referendum) l’accordo che sindacati e Arcelor Mittal, il nuovo acquirente dell’Ilva, hanno firmato nel primo pomeriggio dello scorso 6 settembre con la mediazione del ministro Luigi Di Maio.

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Un sì o un no a quell'’ntesa che assicura 10.700 assunzioni, un numero per ora solo stimato (chi calcola 2.500, chi meno) di esodi volontari, anticipati e incentivati con un bonus di 100mila euro lordi a testa, e promette inoltre per l’acciaieria una fase di stabilità dopo anni sulle montagne russe. E sì, perchè l’Ilva è sulla graticola da diverso tempo. Graticola da cui ora l’Ilva sembra essersi allontanata mentre ci sono sopra i Cinque Stelle, oggetto di una contestazione senza precedenti, con l’invito a dimettersi ai cinque parlamentari locali “sparato” a raffica sui social.

E non solo. I pentastellati avevano promesso la chiusura dell’Ilva, o almeno l’avevano fatta credere possibile. Invece il loro capo politico Di Maio - alle prese con la complessità del caso ma anche con la profonda differenza che separa il governo dall’opposizione -, da ministro dello Sviluppo economico alla fine ha dato il via libera a un accordo che si iscrive, sia pure rafforzandolo, nel solco tracciato dal suo predecessore Carlo Calenda e ha confermato la gara di aggiudicazione a Mittal.

Questi anni difficili
Tre numeri danno un’idea: sei anni dall’esplosione dell’inchiesta giudiziaria che portò agli arresti e al sequestro senza facoltà d’uso degli impianti (e a tutt’oggi l’Ilva resta una fabbrica sequestrata anche se con facoltà di usarla grazie ad una legge del 2012, la prima di una serie); un anno e mezzo per aprire e chiudere la complessa procedura tra manifestazioni di interesse, presentazione delle offerte e gara di aggiudicazione che a giugno 2017 si è conclusa con la vittoria di Arcelor Mittal; un anno di trattative con lo stesso Mittal (e la mediazione di due Governi) prima di arrivare a mettere nero su bianco. Ma quello che colpisce di più, nei sei anni che decorrono dall’estate del 2012, l’estate rovente di Taranto quando si pensava che l’acciaieria potesse chiudere per mano della Procura, sono i rinvii, le indecisioni, le incertezze, le attese. La serie di decreti legge resisi necessari per puntellare ogni fase. Di difficoltà o di avanzamento.

In questi anni gli stipendi degli 11mila addetti di Taranto (oggi un po’ meno mentre in tutto il gruppo sono 13.500, indotto escluso) sono stati sempre pagati puntualmente ma si è comunque vissuto un periodo difficilissimo. Certo, è diminuito l’inquinamento, così attestano i dati, perchè l’Ilva, stretta dalla morsa giudiziaria, sotto l’occhio dei custodi designati dalla Magistratura, ha bruscamente frenato sulla produzione, quasi dimezzandola, spegnendo le cokerie. Ma il commissariamento di Stato (da giugno 2013, poi divenuto amministrazione straordinaria da gennaio 2015) non ha evitato incidenti sul lavoro, vittime e quelle nuvole rossastre nel cielo, che a Taranto conoscono bene (lo slopping), e che si formano quando c’è un cattivo funzionamento delle acciaierie. Un merito tuttavia la gestione dei commissari ce l’ha: aver evitato il fallimento formale di una società tecnicamente fallita, messo Taranto al riparo da un terremoto sociale (quello che sarebbe stato innescato dalla chiusura) e avviato i lavori di bonifica che Mittal dovrà ora completare e soprattutto accelerare.

Si cambia registro?
Le aspettative - dopo la firma dell’intesa con Mittal - sono grandi da parte di sindacati, imprese dell’indotto e amministratori locali. Più prudenti e cauti gli operai, che temono cattive sorprese più in là, quando Mittal avrà già da un pezzo assunto la gestione dell’acciaieria. «Ma io sono convinto che anche i lavoratori vogliono uscire dal guado - afferma Valerio D’Alò, segretario Fim Cisl -. Basta con questa situazione di pantano. Perché Ilva è quella dove gli stipendi si pagano, ma si perde un milione al giorno, le manutenzioni non si fanno, la sicurezza a rischio, i lavori ambientali fermi e interi pezzi di fabbrica, come i tubifici, inattivi perchè privi di ordini. Così non si scorge futuro. Bisogna svoltare, serve un imprenditore vero e superare la fase dei commissari».

«L'accordo è positivo: ottenute 10.700 assunzioni, acquisita la garanzia di zero esuberi, rafforzate le misure ambientali - osserva Antonio Talò, segretario Uilm -. Certo, ora l’accordo va attuato. Sono perplesso solo sul fatto che gli esodi volontari possano interessare più di duemila persone come si calcola. Secondo me, saranno meno e probabilmente ci sarà bisogno di qualche altro ammortizzatore sociale di accompgnamento». «Lavoreremo perché l’accordo sia approvato dalla base - rileva Francesco Brigati della Fiom Cgil -. Sì, dovremo vigilare che le cose si facciano sul serio e i tempi si rispettino, ma ora quell’intesa non ha alternative. Non c’è alcun piano B». Per Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto, «la vera partita comincia adesso. Bene l’accordo, ma il confronto, le buone relazioni, l’apertura al sistema locale sono i presupposti per fare del rilancio e del risanamento dell’Ilva una battaglia vincente. Sono fiducioso: Mittal manterrà gli impegni».

E se il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dichiara che «la città può finalmente guardare al futuro con maggiore fiducia anche se c’è ancora tanto da fare in termini di bonifica, tutela della salute e diversificazione produttiva», l’arcivescovo Filippo Santoro spera «in un punto di partenza per un nuovo corso che faccia tesoro degli errori del passato. Non mancheranno la delusione e il risentimento di tanti per le promesse mancate alimentate dalle facili promesse, ma le soluzioni non sono mai facili, né gratuite. Ho sempre sostenuto che l’Ilva dovesse essere profondamente trasformata».

Promesse tradite, M5S sott’accusa
C’è una corrente di rabbia che in queste ore attraversa i movimenti e le associazioni che si sono battuti per lo stop dell’Ilva. Hanno sostenuto al voto di marzo i Cinque Stelle, inondato di petizioni e di richieste i ministri, e ora vedono svanire il sogno accarezzato: Ilva chiusa, bonifiche per rioccupare i lavoratori e riconversione. «Un piano strampalato, senza alcun fondamento», commenta il sindaco Melucci. Giorni fa in piazza alcuni attivisti della frangia dura hanno anche strappato le tessere elettorali. Sono disillusi, disorientati. Accusano i pentastellati di tradimento. E ritengono impossibile mandar giù l’immunità penale concessa dalla legge sia ai commissari che a Mittal nell’attuazione del piano ambientale, salvaguardia giudiziaria che è rimasta. «Dimettetevi, andatevene a casa» è l’invito che cresce sui social. Ma la protesta di piazza è stanca, rassegnata. Si esprime quasi per inerzia. Anche coloro che rivendicano la chiusura della fabbrica sono divisi. Una sigla contro l’altra. E le manifestazioni che oggi si svolgono, in quanto a partecipazione sono l’ombra pallida di quelle che si facevano nel 2013, negli anni della bagarre.

Di Maio promette di venire a Taranto. Sa che i Cinque Stelle qui hanno fatto il botto elettorale e adesso sono precipitati. Nell’appeal politico e nel consenso di chi gli ha votati. Massimo Battista, consigliere comunale pentastellato ed esponente dei Liberi e Pensanti, movimento favorevole alla chiusura, manifesta la sua forte insofferenza per l’accordo al Mise. Non si escludono anche fuoriuscite dal M5S. Rosalba De Giorgi, deputata, ha fatto le spese della contestazione dura l’altra sera in piazza: era andata per spiegare l’accordo a chi vuole l’Ilva chiusa, si è dovuta allontanare scortata dalle forze di polizia. «Ho messo la faccia - dice De Giorgi -. Capisco la rabbia, anche io vorrei l’Ilva chiusa, ma ci siamo trovati lungo un sentiero strettissimo e già tracciato. Potevamo solo migliorare quel sentiero, cosa che abbiamo fatto».

Punta sugli aspetti migliorativi dell’intesa Mario Turco, senatore M5S. E aggiunge: ora lavoreremo per una legge speciale finalizzata a rilanciare Taranto. Gli rispondono sui social: senatore sia serio, vada a casa. L’ha annunciata pure Di Maio la legge. E il governatore pugliese Michele Emiliano (che non ha ottenuto la decarbonizzazione dell’Ilva e assicura inflessibilità sul piano ambientale) si dice favorevole. Ma il sindaco di Taranto frena molto: «Evitiamo la moltiplicazione dei contenitori istituzionali, piuttosto diamo efficacia alla programmazione degli ultimi anni a cominciare dal Contratto di sviluppo». «Legge speciale? Ma di cosa parlano i Cinque Stelle - incalza l’ex deputato Dem Ludovico Vico che con l’ex vice ministro Teresa Bellanova ha seguito tutti i passaggi dei Governi Renzi e Gentiloni -. Una legge per Taranto c’è già dal 2015, tra riprogrammazioni e nuove assegnazioni ha un volume di risorse pari a 952 milioni di euro e a marzo scorso erano stati spesi 380 milioni. Fatte già diverse cose, dalle opere portuali alle scuole del rione Tamburi messe a norma. Potenziamo la legge che c'è, mandiamo avanti i progetti in attesa, non vendiamo altre chiacchiere».

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