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Rischio Cina per le imprese europee

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le regole del commercio

Rischio Cina per le imprese europee

ROMA - «Un impatto devastante sul made in Italy». Confindustria, insieme alle principali associazioni industriali europee, evidenzia tutti i rischi di quella che, da parte della Ue, si rivelerebbe «un'iniziativa suicida». Il governo italiano - è l'appello - intervenga per evitare questo autogol. Sono toni perentori quelli degli industriali italiani, che si dicono nettamente contrari alla concessione dello stato di economia di mercato (Mes) alla Cina alla fine del 2016, ipotesi di cui si è iniziato a parlare in sede Ue.

La stessa BusinessEurope, l'associazione delle confindustrie Ue, ha inviato giovedì ai vertici europei e alla commissaria al Commercio Cecilia Malmström una lettera per chiedere di scongiurare la concessione del Mes. Nel testo, firmato dalla presidente Emma Marcegaglia e dal direttore generale Markus J. Beyer, si sottolinea l'impatto distruttivo che la decisione avrebbe sulle procedure Ue antidumping e più in generale sulla competitività delle industrie continentali. Netta contrarietà anche della Ces, la confederazione europea dei sindacati, che teme danni concreti «sui lavoratori e le economie europee».

Come detto, Confindustria sollecita il supporto da parte del governo italiano. Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico con delega al commercio internazionale, ieri ha partecipato al Consiglio commercio, che ha avviato la discussione sul tema senza assumere decisioni. L'estrema complessità del dossier richiederà comunque ulteriori passaggi e fonti della Commissione sottolineano che allo stato dell'arte c'è solo «una prima riflessione interna». Di sicuro diversi governi sono apparsi consapevoli di dover contemperare (bisognerà capire come) l'importanza strategica delle relazioni diplomatiche con Pechino e le ragioni delle industrie nazionali. Calenda ha commissionato uno studio sull'impatto economico per l'Italia di un'eventuale apertura alla Cina e nei giorni scorsi ha smentito voci di divergenze interne all'esecutivo, definendo «compatta e univoca la posizione» che «tiene conto da un lato dell'importanza della partnership con un fondamentale attore economico e politico, dall'altro della difesa degli interessi dell'industria italiana nell'ambito di rapporti commerciali equi ed equilibrati».

Da un punto di vista strettamente tecnico e giuridico, gli sherpa di diversi governi valutano che non ci siano i presupposti per un automatico riconoscimento del Mes così come invece sostenuto da Pechino in virtù di un'interpretazione dell'articolo 15 del Protocollo di accesso della Cina al Wto siglato quindici anni fa. Per gli industriali, ad ogni modo, non bisognerebbe cedere a concessioni per quelle che allo stato appaiono mere ragioni politiche e comunque, prima di assumere decisioni in merito, occorre un'approfondita analisi di impatto e soprattutto un'azione di coordinamento con gli Stati Uniti. Sarebbe un clamoroso errore - è la tesi - aprire alla Cina come economia di mercato mentre i principali partner commerciali della Ue (Usa ma anche Canada, Giappone, India) non riconoscono lo status. L'effetto sarebbe un'immediata diversione dei flussi commerciali verso l'Europa, che sarebbe in altre parole invasa da prodotti cinesi.

Entrando nel dettaglio, il vero rischio si chiama “dumping”. Cambiare lo status - nonostante la Cina sia giudicata dalle imprese europee ancora sleale in alcuni ambiti e al momento soddisfi solo uno dei cinque requisiti stabiliti dalla Ue per la concessione del Mes - significherebbe l'impossibilità di applicare le attuali misure di difesa commerciale della Ue. Secondo dati della Commissione, oltre il 40% delle imprese europee difese dai dazi antidumping sono italiane e dei 51 prodotti attualmente sottoposti dalla Ue a dazi antidumping verso la Cina, una trentina sono fabbricati anche (o soprattutto) da aziende italiane. Uno scenario nel quale alcuni settori sarebbero molto più colpiti.

Calenda, in occasione del Consiglio Ue, ha ribadito l'urgenza di un intervento europeo a difesa dell'industria dell'acciaio, messa in grossa difficoltà dalle politiche e dall'overcapacity dei Paesi terzi. Non è un caso che, secondo uno studio dell'Economic Policy Institute sulla concessione del Mes alla Cina diffuso alcuni mesi fa, la siderurgia sia tra i comparti potenzialmente più danneggiati da una decisione che complessivamente metterebbe a rischio 3,5 milioni di posti di lavoro in Europa, di cui fino a quasi 415mila in Italia.

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