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Migranti, corte Ue rigetta il ricorso di Ungheria e Slovacchia (e dà ragione all’Italia)

Scontro fra migranti e polizia in Ungheria
Scontro fra migranti e polizia in Ungheria

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES - La Corte europea di Giustizia ha annunciato stamani di avere respinto il ricorso di Slovacchia e Ungheria che nei mesi scorsi avevano fatto appello presso la magistratura comunitaria contro la decisione del Consiglio di ricollocare in tutta Europa i rifugiati arrivati in Italia e in Grecia. La decisione giunge mentre i Ventotto stanno faticosamente cercando un accordo sul nuovo diritto d'asilo, che riveda la regola secondo la quale responsabile è il paese di primo sbarco.

«Tale meccanismo» di ricollocamento «contribuisce effettivamente e in modo proporzionato a far sì che la Grecia e l'Italia possano far fronte alle conseguenze della crisi migratoria del 2015», ha spiegato la Corte in un comunicato. La decisione era attesa dopo l'opinione recente dell'avvocato generale Yves Bot che in luglio aveva respinto anch'egli il ricorso ungherese e slovacco Questi due paesi hanno criticato la scelta di imporre a tutti i Ventotto l'accoglienza di rifugiati.

La decisione del ricollocamento era stata presa nel 2015nel pieno della crisi migratoria. La Commissione europea aveva quindi presentato un progetto di redistribuzione dei rifugiati che il Consiglio aveva approvato a maggioranza qualificata. Romania, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia si erano opposte, ma senza successo.

Il programma prevede la redistribuzione di 160mila persone su un periodo di due anni. Per ora, sono stati ricollocati appena 25mila rifugiati.
Come detto, la decisione della magistratura comunitaria giunge mentre i Ventotto stanno negoziando una riforma del diritto d'asilo che introduce una forma di redistribuzione d'autorità dei rifugiati nelle situazioni eccezionali.

La proposta della Commissione avanza faticosamente tra i tanti scogli del negoziato diplomatico. La sentenza di oggi rafforza la mano dell'esecutivo comunitario. Corre voce qui a Bruxelles che la Commissione possa rinnovare il programma di ricollocamento.

Il tema è delicatissimo, tanto più in periodi elettorali. Contribuisce a una pericolosa divisione tra Est e Ovest dell'Europa. Questa settimana il premier ungherese Viktor Orban ha chiesto aiuto economico europeo per la costruzione di un muro al confine con la Serbia. Per tutta risposta, il presidente dell'esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker ha ricordato al dirigente politico che la solidarietà è una strada a due sensi. L'Ungheria dovrebbe accogliere 1.294 rifugiati. Per ora, non ne ha accolto alcuno.

Da Budapest, il governo ungherese ha reagito alla decisione della magistratura comunitaria, definendola «irresponsabile». Ha detto di essere pronto a continuare a battersi «con tutti i mezzi legali». Al di là della sentenza della Corte, Bruxelles ha aperto prima della pausa estiva una procedura di infrazione ai danni dei paesi restii ad applicare la decisione sul ricollocamento: oltre all'Ungheria, anche la Polonia e la Repubblica Ceca. Per ora la Slovacchia è stata risparmiata.

Ciò detto, lo sguardo attualmente corre soprattuto al controllo delle frontiere esterne. Per frenare gli arrivi di migranti, l'Unione investe denaro nei paesi di partenza e di transito, a cominciare con la Libia. Nel contempo, la Commissione europea vuole accelerare sul fronte dei ritorni. L'obiettivo più generale è di ristabilire pienamente le regole di libera circolazione nello Spazio Schengen. Da due anni ormai vigono controlli alle frontiere di alcuni paesi del Nord Europa, tra cui la Germania.

I finanziamenti inviati in Libia ricordano l'accordo del 2016 tra Bruxelles e Ankara. L'intesa prevede il versamento fino a sei miliardi di euro per aiutare la Turchia a gestire l'arrivo dei rifugiati dal Vicino Oriente, e in particolare dalla Siria. Dinanzi all'autoritarismo del governo turco, Berlino sta ventilando l'ipotesi di interrompere d'emblée il negoziato con Ankara per l'adesione del paese all'Unione. Molti diplomatici temono che questa strada possa mettere a repentaglio proprio l'accordo sull'immigrazione.

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