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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2010 alle ore 09:12.
L'ultima modifica è del 21 maggio 2010 alle ore 15:45.
«Ora ci siamo noi e la riforma delle professioni si farà». Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, concede poche battute ai giornalisti che aspettano fuori dalla sala verde di via Arenula, dov'è appena terminato il lungo incontro con i rappresentanti di venti ordini (è la sala dedicata pochi mesi fa alla memoria del "giudice ragazzino" Rosario Livatino). Ma le sue parole scolpiscono il significato politico che assumerà la nuova legge quadro. «Dobbiamo riuscire a fare una riforma - spiega Alfano - che metta al centro il cittadino, garantendo l'alta qualità delle professioni e stabilendo regole chiare e trasparenti. Allo stesso tempo, però, occorre assicurare ai professionisti la dignità e il prestigio che gli deriva dall'aver superato un esame di stato». Il ministro ha promesso la costituzione immediata di un gruppo di lavoro.
Il Guardasigilli sa perfettamente che si tratta di una riforma attesa da decenni e come a voler confermare che questa volta si farà sul serio parla esplicitamente di una iniziativa che «incentiverà la ripresa economica del paese». Perché i professionisti aderenti agli ordini, enumera Alfano, sono oltre due milioni, il 3,3% della popolazione, e producono il 12,5% del Pil.
In apertura dell'incontro con gli Ordini il ministro ha illustrato il percorso che intende adottare per arrivare prima alla legge quadro per tutte le professioni liberali e, poi, alla normativa di comparto, da approvare entro la legislatura, con gli interventi di adeguamento delle regole delle singole professioni. Alfano ha toccato tutti i temi cardine, a partire da quello più caldo del riconoscimento della specificità degli Ordini rispetto alle associazioni professionali. La nuova legge quadro dovrà essere scritta nel rispetto del quadro regolatorio europeo ma in sede di recepimento delle direttive comunitarie si sono verificate improprietà che ora dovranno essere superate. Il riferimento è alla direttiva qualifiche (n. 36/2005) in cui vengono riconosciute le associazioni professionali anglosassoni e che, nel decreto legislativo varato dal predecessore di Alfano (il 206/2007), di fatto estende il riconoscimento anche alle associazioni italiane.