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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 08:02.
ROMA-L'innalzamento a 65 anni dell'età per le pensioni di vecchiaia delle lavoratrici del pubblico impiego nel 2012 riguarderà 30mila lavoratrici. È stato lo stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, a chiedere all'Inpdap di simulare l'impatto dell'equiparazione chiesta dalla commissaria Ue, per concludere che il beneficio per i conti pubblici sarà «modesto» anche se probabilmente «a medio e lungo termine si produrranno maggiori economie».
La previsione definitiva arriverà nelle prossime ore. Secondo alcune stime tecniche potrebbero essere circa 254mila le lavoratrici interessate fino al 2018, che per due terzi sono occupate nella scuola.
La commissione Ue ha chiesto all'Italia di accelerare il meccanismo della legge 102/09 che ha gradualmente aumentato l'età pensionabile fino al 2018, incrementando il requisito anagrafico a partire dal 1° gennaio 2010 di un anno ogni due anni: dal 2010 l'età è passata da 60 a 61 anni, per raggiungere a regime l'allineamento a 65 anni. Come effetto della riforma quest'anno il pensionamento di vecchiaia è slittato per 3.500 dipendenti pubbliche, che pur avendo compiuto 60 anni dovranno restare in servizio. Con la legge 102 – che era stata approvata per evitare un deferimento della Corte di giustizia europea – tra il 2010 e il 2018 sono previsti risparmi per 2,5 miliardi di euro. Quando è apparso evidente che l'Unione europea avrebbe giudicato insufficiente anche il nuovo meccanismo il governo è corso ai ripari introducendo un'accelerazione nella prima versione del decreto con la manovra che prevedeva un allineamento a 65 anni entro il 2016, che però è stato stralciato nella versione approvata. La soluzione, come ha annunciato ieri Sacconi, verrà nuovamente trovata con un emendamento ad hoc alla manovra.
Ma opposizione e sindacati chiedono al governo di aprire immediatamente un confronto in parlamento e con le parti sociali sugli interventi sul sistema pensionistico imposti all'Italia. Per Cesare Damiano (Pd) «l'Ue non ci ha chiesto l'innalzamento a 65 anni ma di equiparare le condizioni di lavoro di uomini e donne», sarebbe «preferibile una misura di base uguale per tutti, 61 o 62 anni come succederà con la riforma Prodi-Damiano nel 2013 inserendo il principio dell'uscita flessibile fino ai 70 anni, liberamente scelta». Mentre Emma Bonino (leader radicale) conferma di essere favorevole all'allungamento dell'età lavorativa delle donne sia nel pubblico che nel privato: «In un paese come il nostro dove la speranza di vita è aumentata questo sistema non regge più – spiega –. Se spendiamo i soldi per pagare le pensioni delle donne di sessant'anni, togliamo soldi al sostegno ai giovani e alle donne lavoratrici». La Bonino sottolinea tuttavia che «potevamo anche cominciare dalle politiche di sostegno alle donne e poi arrivare alle pensioni», ma «per colpa dei governi italiani che si sono succeduti non è stato mai fatto».