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Norme e Tributi Enti locali e PA

Cura dimagrante per gli atenei

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 20:42.

Tremonti conferma la dieta per l'università italiana. Nel 2011, il fondo ordinario per il funzionamento degli atenei riceverà in dote, dallo Stato, 5,9 miliardi di euro, in calo del 17% rispetto al 2010 (quando l'assegno pesava 7,2 miliardi). Nel 2012, il fondo salirà a poco più di 6 miliardi, ma non potrà più contare sui, complessivi, 700 milioni (di cui 400, per il 2011) di aumento previsti nelle primissime bozze della manovra, cancellati, in fretta e furia, dalla versione ufficiale del provvedimento, pubblicato in Gazzetta lo scorso 31 maggio e, ora, sbarcato in Senato per la conversione definitiva in legge.

Per Giuseppe Valditara, senatore del Pdl e relatore del ddl sull'università, attualmente fermo a Palazzo Madama, tutto questo «bloccherà il sistema di premialità che abbiamo disegnato con la riforma degli atenei e soprattutto metterà in ginocchio le università, che potrebbero non essere più in grado di garantire l'erogazione del servizio pubblico». Valditara ha annunciato quindi che presenterà un emendamento ad hoc alla manovra per chiedere il ripristino per il 2011 delle risorse del Fondo di finanziamento per l'università e la cancellazione dello blocco degli scatti: «che - ha dichiarato - possono essere congelati, ma non spazzati via per sempre».

Del resto, la manovra non è stata tenera con gli atenei. A partire dalla sforbiciata lineare del 10% di tutte le spese dei ministeri, Viale Trastevere inclusa, che significherà, per le università, un ulteriore "alleggerimento" di circa 70 milioni, fino al 2013, sulla voce "istruzione universitaria". A essere più colpite, quindi, saranno tutte le "spese" che rappresentano il valore aggiunto della didattica, come le attività di laboratorio, i corsi di perfezionamento, le convenzioni università-lavoro.

C'è poi da fare i conti con la conferma del "blocco" del turn over, che penalizza, soprattutto, i precari e che, secondo la Flc Cgil, produrrà, di riflesso, una fuoriscita massiccia di personale da qui al 2015, stimata in circa un terzo di professori e amministrativi di ruolo. E se la manovra, ancora, esclude gli atenei dall'ulteriore riduzione del 20% (rispetto alle spese 2009) dei costi per studi e consulenze, dall'altra, mette mano al portafogli per quanto riguarda relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, che dovranno essere contenute di un analogo 20%, rispetto sempre all'anno prima. Bisognerà, invece, sforbiciare del 50% le spese per le "missioni estere", con penalizzazione per i viaggi e gli stage di istruzione fuori dall'Italia (tipo, progetti Erasmus e simili).

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Pesante, anche, la norma che congela gli scatti d'anzianità, che produrrà una riduzione degli stipendi di circa il 6% della retribuzione, visto che gli aumenti, di norma, sono biennali e il blocco sarà in vigore per 3 anni. A essere penalizzati, però, sottolinea la Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, saranno soprattutto «i docenti nelle prime fasi della carriera, in particolare di coloro che non risultano ancora confermati in ruolo, qualora l'applicazione del blocco degli scatti stipendiali restasse indifferenziato». Sarà, invece, meno oneroso il taglio degli stipendi, del 5% per redditi superiori ai 90mila euro lordi l'anno, che salirà al 10% per buste paga che vanno oltre la soglia dei 150mila euro. A interessare i professori universitari, spiegano fonti sindacali, sarà soprattutto il primo caso, visto lo stipendio medio di un ordinario è di 90.880 euro. Questo significa - di fatto - una perdita di 44 euro l'anno (il 5% di 880, la parte cioè eccedente il limite dei 90mila euro, fissato dalla legge). Non saranno invece toccati gli stipendi dei professori associati e dei ricercatori, che, in media, arrivano a percepire, rispettivamente, 62.750 e 43.790 euro l'anno. I docenti universitari, poi, dovranno fare i conti anche con la dilazione del Tfr. Anche qui, l'asticella è rappresentata dal valore dello stipendio. Se inferiore a 90mila euro, la buonuscita arriverà in unica soluzione. Per cifre superiori, l'assegno sarà diviso, in rate, in 3 anni.

Paradossali infine le norme sulla ricerca. Da un lato, rimette alle scelte dei ministeri la chiusura o meno di importanti istituti di ricerca scientifica, dall'altro, a sorpresa, accelera sul rientro dei giovani ricercatori che hanno trasferito la propria residenza all'estero per motivi di lavoro, con un'agevolazione fiscale, peraltro, nemmeno niente male: l'esclusione dalla formazione del reddito di lavoro autonomo o dipendente del 90% degli emolumenti derivanti dall'attività di ricerca o docenza svolta in Italia e della conseguente acquisizione della residenza fiscale nel territorio italiano. Il "bonus" decorrerà dal 1° gennaio 2011, per 3 anni, e arriverà in dote ai "cervelli" che decideranno di rientrare nel Belpaese nei prossimi 5 anni. Un'opportunità da non perdere. Anche se resta da capire, una volta rimpatriati, dove questi ragazzi andranno a svolgere la loro attività di ricerca.

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