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Resta agli stati la libertà di scelta sulle unioni gay

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2010 alle ore 08:07.

Il riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie omosessuali non passa per Strasburgo. La Corte europea, infatti, con la sentenza del 24 giugno 2010 (ricorso n. 30141/04, Schalk e Kopf contro Austria) chiude le porte ai ricorsi di coppie dello stesso sesso che tentano di ottenere da Strasburgo la possibilità di sposarsi superando gli ostacoli frapposti dal diritto interno. Chiaro il messaggio della Corte: spetta agli Stati decidere se prevedere nel proprio ordinamento il matrimonio anche per coppie dello stesso sesso. Non solo. Per la Corte, gli Stati non violano il divieto di discriminazione se, pur ammettendo la registrazione di queste unioni, escludono i partner da alcuni diritti tra i quali la possibilità di adottare figli.

È la prima sentenza della Corte europea sul diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e un dato è certo: non sarà Strasburgo ad aprire la strada al matrimonio per queste unioni. Questo perché – come precisato dai giudici internazionali – la Convenzione europea non impone agli Stati di prevedere il matrimonio per coppie dello stesso sesso, tanto più che l'articolo 12 della Convenzione riconosce il diritto di sposarsi a «uomini e donne in età adatta».
A Strasburgo si era rivolta una coppia omosessuale che non aveva potuto contrarre matrimonio in Austria. In campo era scesa anche la Corte costituzionale austriaca che aveva ritenuto la legislazione interna conforme alla Costituzione e alla Convenzione. Di qui il ricorso a Strasburgo che però ha dato ragione all'Austria proprio perché gli Stati non hanno l'obbligo, in base alla Convenzione, di ammettere il matrimonio anche a vantaggio di coppie dello stesso sesso. La Corte è partita dal dato letterale dell'articolo 12 che si riferisce unicamente al matrimonio tra eterosessuali. È vero, precisa la Corte, che la Convenzione è uno strumento vivente che tiene conto dell'evoluzione della società ma, proprio alla luce del dato letterale, il diritto al matrimonio è riservato alle coppie di diverso sesso.

Detto questo, la Corte è passata ad analizzare il secondo motivo di ricorso ossia l'eventuale violazione del diritto alla vita privata e familiare (articolo 8) e dell'articolo 14, che vieta ogni forma di discriminazione. Per la Corte, considerando l'evoluzione anche sul piano del diritto Ue, la vita di una coppia omosessuale rientra nella nozione di vita familiare in modo analogo a quella delle coppie eterosessuali ma, in ogni caso, non vi è una violazione delle norme convenzionali se gli Stati escludono taluni diritti, tenendo conto del margine di discrezionalità loro attribuito. Bocciata quindi la tesi dei ricorrenti secondo i quali gli Stati sono tenuti, quando ammettono forme di riconoscimento di coppie dello stesso sesso, come aveva fatto poi l'Austria, a prevedere gli stessi diritti delle coppie sposate.

Tags Correlati: Austria | Convenzione europea | Corte Costituzionale | Corte di Strasburgo | Norme sulla giustizia

 

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