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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2010 alle ore 14:58.
Sono oltre un milione e quattrocentoduemila le firme raccolte e presentate oggi in Cassazione per ognuno dei tre quesiti referendari contro la privatizzazione dei servizi idrici. In tutto 525 scatoloni, 175 per ogni quesito, consegnati dal comitato referendario costituito da una miriade di associazioni e comitati di sinistra, cattolici o apolitici o da organizzazioni non governative.
«Nessun referendum nella storia della Repubblica ha raccolto tante firme - spiega Paolo Carsetti del comitato promotore - un segnale di attenzione da parte dei cittadini, un risveglio democratico che ha coinvolto realtà inaspettate e garantito questi risultati». Anche se è improponibile il riferimento al referendum sul divorzio, che raccolse un milione 370mila firme, perché quelle furono le firme autenticate dalla Cassazione e non quelle consegnate. Slogan della campagna referendaria: «L'acqua non si vende». L'acqua, dicono i referendari, è un bene essenziale che appartiene a tutti: nessuno può appropriarsene, né farci profitti.
Sintetizzando i 3 quesiti, spiega Carsetti, di potrebbe dire «fuori l'acqua dal mercato, fuori i profitti dall'acqua», Con il primo quesito i referendari chiedono l'abrogazione dell'articolo 23-bis della legge 133/2008, che privatizza i servizi pubblici di rilevanza economica, fra cui la gestione dell'acqua pubblica in Italia. Con il secondo quesito si chiede l'abrogazione dell'articolo 150 del Codice dell'ambiente (Dlgs 152/2006) relativo alla scelta della forma di gestione e alle procedure di affidamento del servizio idrico. Il terzo quesito vuole cancellare il comma 1 dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, limitatamente alla parte che dispone che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell'adeguata remunerazione del capitale investito.
Il combinato disposto dei tre quesiti comporterebbe, per l'affidamento del servizio idrico integrato, la possibilità del ricorso all'articolo 114 del dlgs 267/2000, che prevede il ricorso a enti di diritto pubblico (azienda speciale, azienda speciale consortile, consorzio fra i Comuni), o a forme societarie che qualificherebbero il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente "privo di rilevanza economica", servizio di interesse generale e scevro da profitti nella sua erogazione. Il comitato referendario punta poi all'approvazione di una legge d'iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua, corredata da oltre 400mila firme di cittadini.