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No al carcere come unica misura cautelare per i reati sessuali. Insorge Carfagna

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2010 alle ore 21:12.

Incostituzionale prevedere la carcerazione come unica misura cautelare possibile nei reati sessuali. La Consulta boccia una delle norme del pacchetto sicurezza, in particolare della legge della primavera del 2009 che ha tra l’altro introdotto le norme sullo stalking. I giudici della Corte costituzionale il testo della sentenza hanno negato che sia possibile estendere automaticamente ai reati di natura sessuale quanto previsto dal codice di procedura penale per i delitti di mafia senza considerare misure meno “afflittive”.

Un automatismo che attualmente scatta quando esistono gravi indizi di colpevolezza in caso di sfruttamento della prostituzione minorile, di violenza sessuale e di atti sessuali compiuti con un minore di 14 anni. “Ciò che rende costituzionalmente inaccettabile la presunzione stessa – si legge  nella sentenza – è per certo il suo carattere assoluto, che si risolve in una indiscriminata e totale negazione di rilevo al principio del “minore sacrificio necessario” anche quando sussistano specifici elementi da cui desumere, in positivo, la sufficienza di misure diverse e meno rigorose della custodia in carcere”.

La Corte costituzionale, pur bollando come “odiosi e riprovevoli” i delitti in questione, nega che possano essere sottoposti allo stesso trattamento dei crimini mafiosi avallato sia dalla Consulta sia dalla Corte dei diritti dell’Uomo. La deroga al principio che impone la valutazione di una gamma di misure – spiegano i giudici –  è stata imposta, nel caso della mafia, dalla necessità di troncare i rapporti tra l’indiziato e “l’ambito delinquenziale di appartenenza”. Ben diverso – conclude la Corte – il caso dei delitti sessuali che spesso sono meramente individuali e quindi tali da non richiedere esigenze cautelari affrontabili solo con la massima misura.

La reazione del ministro Carfagna. «Non esiste e non possiamo accettare una classifica della brutalità: per noi, cioè coloro che hanno scritto ed approvato questa legge, chi violenta una donna o, peggio, un bambino deve filare dritto in carcere, senza scusanti, da subito»: così il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, ha commentato in serata la sentenza della Consulta che giudica incostituzionale l`automatismo per il quale gli imputati per violenza sessuale su donne e minori vengono ora custoditi in carcere in attesa del giudizio.

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Tags Correlati: Corte Costituzionale | Mara Carfagna | Normativa |

 

«L'intervento della Corte è giustificazionista, lontano dal sentire dei cittadini, e, purtroppo, ci allontana, sebbene di poco, dalla strada verso il rigore e la tolleranza zero contro i crimini sessuali che questa maggioranza ha intrapreso sin dall`inizio della legislatura», ha sottolinea to Carfagna, aggiungendo: «Sono sicura che i magistrati continueranno a dimostrare la dovuta sensibilità nei confronti di questi reati odiosi, valutando con estrema severità le esigenze di carcerazione preventiva di chi li commette».

«Restano in vigore - ha concluso il ministro - tutte le altre parti del provvedimento e tra queste l`eliminazione dei benefici premiali, quali arresti domiciliari o sconti di pena, la difesa gratuita per le vittime e le aggravanti grazie alle quali ora chi stupra una donna rischia fino a 14 anni di carcere».

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