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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2010 alle ore 08:09.
Recessione, aumento della competitività del mercato, miglioramento della tecnologia utilizzata. I servizi legali si adattano all'internazionalizzazione dei mercati e le barriere tra le diverse giurisdizioni sono sempre meno rigide. Uno dei segnali di questa trasformazione è la diffusione dell'outsourcing dei servizi legali (Lpo, legal process outsourcing), espressione tabù fino a pochi mesi fa. Non lo è più per le law firm anglosassoni, le corazzate del diritto che hanno iniziato a spedire verso il sud del mondo (India e Filippine le destinazioni più gettonate) una fetta importante dell'attività legale svolta, e lo è sempre meno per gli studi d'affari italiani, consapevoli dei vantaggi della delocalizzazione non solo del servizio offerto ai clienti, ma anche della gestione del business legale stesso. Vantaggi collegati soprattutto alla riduzione del costo della consulenza che permette agli studi di assecondare i clienti che chiedono parcelle sempre più competitive.
Il salario medio di un professionista che lavora in una delle 110 società che offrono questo servizio in India, il paese protagonista del fenomeno, raramente arriva a 8mila euro annuali. Una cifra che non regge il confronto con i circa 130mila euro ricevuti in media da un avvocato d'affari americano con la stessa esperienza.
Secondo le stime della Forrester Research, entro il 2015 il subcontinente riceverà lavoro per un valore di circa 4 miliardi di dollari e nel 2010 il valore complessivo del settore raggiungerà 640 milioni di dollari (519 milioni di euro, erano 118 nel 2006). Un'indagine di
PricewaterhouseCoopers ha evidenziato un aumento mondiale del 44% dell'outsourcing dei servizi legali e solo in India la crescita è stata del 40 per cento.
Il continente indiano rappresenta però una contraddizione. A fronte dell'esplosione dell'outsourcing, il paese resta inaccessibile per gli studi che vogliono operare direttamente nel mercato. La legislazione locale non permette agli stranieri di operare con un ufficio indipendente. Lo scorso dicembre la Corte suprema di Bombay ha ribadito il concetto definendo le sedi degli studi internazionali "fuorilegge".