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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:00.
Il prossimo sarà il mese decisivo per i conti delle università; il primo compito del ministero alla ripresa delle attività sarà la distribuzione del fondo ordinario, che per la prima volta arriva ad anno quasi chiuso (di solito l'assegno è distribuito in primavera). Poi, burrasche politiche permettendo, sarà la volta dello "scambio" fra riforma e risorse, atteso in parlamento: a inizio agosto il senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge sulla governance, che introduce l'abilitazione nazionale e il doppio mandato quadriennale per i rettori, e il ministro Mariastella Gelmini ha ribadito «l'impegno» del governo a trovare le risorse per rimpolpare i fondi del 2011.
Il primo tentativo, rappresentato dai 400 milioni comparsi nelle versioni iniziali della manovra, non è andato a buon fine, e la battaglia riprende a settembre. L'allarme è alle stelle. Con la dotazione attuale, l'anno prossimo il fondo statale sarebbe inferiore ai 6 miliardi, con una flessione del 17,2% rispetto ai livelli 2010: troppo pochi per pagare anche solo gli assegni fissi al personale, che costano 6,5 miliardi all'anno. In questo modo, lamentano i rettori degli atenei statali, il sistema entrerebbe nei fatti in dissesto.
Il pericolo è concreto ma non riguarda tutti, perché negli ultimi anni i bilanci delle università sono cambiati profondamente. Tra 2001 e 2007 (lo spiega l'ultimo rapporto del comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), mentre il fondo ordinario superava di poco l'inflazione e le risorse ministeriali legate alla ricerca rimanevano fermi, gli atenei hanno quasi raddoppiato (da 1,2 a 2,2 miliardi all'anno) i finanziamenti «diversi» (privati o europei) per la ricerca, hanno spinto sulle tasse chieste agli studenti (+53,4%) e si sono ingegnati nella ricerca di altri canali per sostenere i conti (le alienazioni, sono passate da 210 a 436 milioni). Risultato: il crollo previsto per l'assegno statale in alcuni atenei mette a rischio anche gli stipendi, in altri è un problema ben più gestibile.
Per distinguere sommersi e salvati si possono impiegare due indicatori. Il primo è offerto dal rapporto tra spese di personale e fondo ordinario. Chi dedica al personale più del 90% del fondo deve bloccare tutte le assunzioni; quest'anno capita a sette atenei (Urbino, Cassino, Bari, L'Aquila, Reggio Calabria, Siena e l'Orientale di Napoli), ma senza gli «sconti» contabili offerti dalle norme per il personale convenzionato con il servizio sanitario le università fuori soglia sarebbero 24; l'anno prossimo, con 1,3 miliardi in meno dallo stato, gli atenei fuori controllo sarebbero la maggioranza, ma c'è chi rimane comunque lontano dalla zona pericolo. A parte piccoli atenei come Catanzaro o Roma Foro Italico (l'ex istituto universitario di scienze motorie), tra i grandi atenei spicca la situazione del Politecnico di Milano e di Milano Bicocca (la Statale è invece vicina al 90%, al lordo degli «sconti»). All'altro capo della classifica si incontrano invece Urbino e Siena, accompagnati dalla maggioranza degli atenei napoletani e dalla Sapienza di Roma.