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Norme e Tributi Lavoro

Milano rilancia il logo. Ora il marchio fa cassa

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 22:51.

Con un patrimonio storico, culturale e ambientale riconosciuto unico al mondo, trasformare in brand gli angoli più belli della Penisola non sembra esattamente arduo come cavare acqua dai sassi. Eppure per rilanciare il "made in Italy" già bell'e pronto – quello che la storia millenaria del paese ci ha consegnato – e soprattutto metterlo a reddito, è servita una nuova legge.
Il Codice della proprietà industriale entrato in vigore ieri, versione rivista e aggiornata di quello operativo da cinque anni, ripropone per enti locali e amministrazioni dello stato la possibilità di ottenere registrazioni di marchio «aventi ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico e ambientale del relativo territorio». Rispetto al 2005, quando la norma era stata varata introducendo la timida «possibilità» di fare brand, oggi il codice apre al capitolo "proventi", indicando la strada per realizzarli – sfruttamento del marchio appunto – e anche gli strumenti per metterli a bilancio, al primo posto le licenze e il merchandising.

Unico vincolo nuovo rispetto al recente passato è la destinazione dei ricavi di quella che appare una miniera potenzialmente inesauribile: i soldi incassati direttamente o mediante appalti da stato, regioni, province e comuni dovranno essere incanalati verso il « finanziamento delle attività istituzionali o alla copertura degli eventuali disavanzi pregressi dell'ente».

Un'opportunità non da poco, insomma, considerate le sofferenze della finanza pubblica, i patti di stabilità e l'arduo cammino verso il federalismo fiscale.
Chi sembra credere con decisione alla chance di commercializzare il brand cittadino è Milano – non l'unica: le prime a partire erano state Venezia e la stessa Siena, che ha "congelato" il Palio e le sue contrade – che proprio nelle prossime settimane lancerà il logo stilizzato su una nuova gamma di prodotti.

A un anno dall'appalto per la licenza globale sul marchio, il capoluogo lombardo vara il secondo step dell'operazione che dopo magliette e tazzine, sbarca su orologi – sposando il più antico fabbricante meneghino, Lorenz – e punta alla cultura, all'abbigliamento glamour e allo sport. «Vogliamo trasformare ogni turista che visita la nostra città in un testimonial di Milano nel mondo» dice l'assessore al turismo, marketing territoriale e identità, Alessandro Morelli, «senza trascurare la promozione reciproca della capacità di "fare" così connaturata a questa città. Le grandi firme del made in Italy, anzi, del made in Milano si stanno offrendo a noi per abbinare il loro nome al grande brand del capoluogo. Perché la verità è che Milano è già uno straordinario marchio nel mondo, a noi sta solo raccoglierne i frutti».

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Tags Correlati: Alessandro Morelli | Codice | Imprese | Milan | Milano

 

I frutti, appunto. Le previsioni per il primo biennio di merchandising sono molto timide («Contiamo di incassare 300mila euro» dicono all'assessorato), ma è chiaro che ci si muove in uno spazio del tutto sconosciuto e dalle potenzialità tutte da misurare sul campo.

Il capitolato dell'appalto, fanno sapere dagli uffici, è stato calibrato sugli standard dei contratti di royalties tra privati: il comune di Milano applica una percentuale che oscilla tra l'otto e il 12% su ogni transazione – quindi anche sul semplice acquisto di una maglietta "Milano" – e comunque si riserva di approvare di volta in volta la destinazione commerciale del logo, vietando usi inopportuni o non in linea con il brand, appunto. Tra i quali non compare ovviamente lo sport, considerato che tra breve vedremo lanciata nelle fiere internazionali la bicicletta con il brand della Madonnina, assolutamente made in Milan e inevitabilmente legata alla gloria del Vigorelli. Non finirà qui: «Per lo shopping di Natale stiamo vagliando una linea di prodotti dedicati – dice l'assessore Morelli – e per chi non potrà vivere l'esperienza in diretta stiamo pensando ad aprire una vetrina e-commerce sul nostro sito istituzionale».

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