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Norme e Tributi Approfondimenti

La sicurezza vincola il datore

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 08:01.

«Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dall'integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi a informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi del lavoro».

Sulla base di questa motivazione la Corte di cassazione (quarta sezione penale) ha respinto il ricorso del proprietario di un cantiere edile e della persona che nello stesso cantiere rivestiva il ruolo di "preposto", ritenuti responsabili per negligenza e imperizia dal tribunale e dalla Corte d'appello di Trento per l'incidente occorso a un operaio caduto da un ponteggio senza aver indossato un'idonea cintura di sicurezza e riportando perciò lesioni gravissime. Con la sentenza n. 31679, depositata lo scorso 11 agosto, la Cassazione (riprendendo principi già espressi in passato, anche a Sezioni Unite) ha ribadito che per garantire la sicurezza sul lavoro, «non è sufficiente che i datori impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza». E se alcune misure sono particolari «è necessario che questi strumenti siano messi a portata di mano» dei dipendenti.

La difesa degli imputati peraltro si era imperniata sugli eventuali profili di responsabilità degli operai, colpevoli di aver ignorato le norme poste a presidio della loro stessa sicurezza, dato che avrebbero provocato l'incidente smontando, su indicazioni del "preposto", le protezioni esistenti per montare il parapetto di un balcone. Il tutto mentre la vittima dell'incidente si trovava ancora sul ponteggio.

«Ma il datore di lavoro – scrivono i giudici della quarta sezione penale – è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme».
Per la Cassazione è «imprudente» il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e quindi al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – oppure, «rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro». In ogni caso, conclude la Cassazione – fissando un principio che trova rispondenza nel testo unico sulla sicurezza del lavoro – se è vero che destinatari delle norme di prevenzione contro gli infortuni non sono solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, «giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza».

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