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Norme e Tributi Approfondimenti

Non serve l'opera per il compenso

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 08:00.


Compenso al progettista anche se è stata richiesta un'opera irrealizzabile. È quanto emerge dalla sentenza n. 18747/10 della Cassazione.
La vicenda vede coinvolto un ingegnere e i propri clienti per il mancato compenso, dovuto per la realizzazione di due distinte progettazioni riguardanti un immobile da edificare. Ottenuto dal tribunale il decreto ingiuntivo, i clienti si opponevano dichiarando di non essere tenuti al pagamento della parcella poiché non erano riusciti a farsi rilasciare il permesso di costruire a causa dei gravi errori commessi dal professionista. In particolare – secondo i ricorrenti – l'ingegnere avrebbe incluso nell'elaborato, superfici di proprietà comunale rendendo di fatto irrealizzabile l'edificazione delle palazzine.
Il giudice accogliendo l'opposizione revoca il decreto ingiuntivo. A questo punto, il professionista ricorre in Corte d'appello, secondo la quale l'aver ricompreso nel progetto un'area di proprietà comunale non cancella l'obbligo dei committenti di corrispondere l'onorario per il lavoro svolto, «considerando che tale difetto era da loro conosciuto ed anzi era il frutto della loro volontà, avendo l'ingegnere riportato fedelmente le indicazioni ricevute».
Così, i clienti ricorrono in Cassazione sostenendo che l'accordo raggiunto tra le parti, riguardava la progettazione di un'opera professionale in violazione della normativa urbanistica, perciò il contratto stipulato era mosso da un motivo illecito. Pertanto, il contratto era da ritenersi nullo e nessun compenso era dovuto al professionista.
La Suprema corte rigetta il ricorso stabilendo che se i committenti, nella loro autonomia contrattuale, chiedono espressamente di inserire nel progetto un'opera irrealizzabile, questo non configura responsabilità del professionista e quindi non si può mettere in discussione il diritto al pagamento dell'onorario. Punto di partenza, nella lettura della Corte, è valutare se l'asserita irrealizzabilità dell'opera possa essere fonte di responsabilità del progettista riguardo all'adempimento agli obblighi professionali derivanti dalla legge o dagli accordi contrattuali. A tal proposito i giudici, richiamando i precedenti (Cassazione 22487/2004, 22129/2008), affermano che, in tema di responsabilità professionale, l'irrealizzabilità di un progetto, quando sia conseguenza di errori commessi dal professionista nella formazione dell'elaborato che lo rendono inidoneo ad essere attuato, costituisce inadempimento dell'incarico che abilita il committente a rifiutare il compenso.

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Tuttavia, nel caso affrontato, furono proprio i committenti a richiedere all'ingegnere l'inserimento della superficie di proprietà comunale. In sostanza – conclude il provvedimento – nessun inadempimento è imputabile al professionista poiché ha fornito un elaborato secondo le specifiche richieste dei clienti. Una lettura che si pone come eccezione alla regola enunciata dalle Sezioni unite della Cassazione che con sentenza 15781/2005 hanno affermato che l'ingegnere o architetto progettista è tenuto a redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di edificazione su un dato territorio.
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Il testo della sentenza
Le motivazioni

- Cassazione, sezione II civile, sentenza 18747/10

Sotto un primo profilo si osserva che la sentenza impugnata ha affermato che dalla Ctu espletata nel giudizio di primo grado era emerso che il progetto presentava una cubatura lievemente superiore a quella prevista, ma che tale difetto dell'elaborato, ove rilevato in sede di approvazione, sarebbe stato facilmente emendabile, cosicchè l'inconveniente non comportava assolutamente l'inutilizzabilità del progetto stesso (...).
Quanto poi all'asserito omesso esame del vizio progettuale relativo alla inosservanza delle distanze legali, si rileva che si tratta di una questione implicante un accertamento di fatto non esaminata nella sentenza impugnata; pertanto i ricorrenti avevano l'onere (in realtà non assolto), al fine di evitare una statuizione di innammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avessero fatto, per dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito
la questione stessa.
(...) La Corte territoriale ha rilevato che, a prescindere dalla assenza di qualsiasi prova in ordine all'esistenza ed alla entità dei danni, le pregresse considerazioni relative al fatto che il primo progetto era stato frutto di una precisa scelta dei committenti e che il secondo progetto non presentava alcun profilo di inutilizzabilità escludevano ogni credibilità alla pretesa risarcitoria degli appellati incidentali.

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