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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 18:28.
Ladro, compagno di merende e rimbambito. Su questi epiteti non proprio gentili rivolti ai politici in passato la Corte di cassazione ha "chiuso un occhio", oggi invece condanna un ex sindaco per aver dato del "mentecatto" al suo successore. Gli ermellini, con la sentenza 33310 (il testo su Guida al diritto) depositata ieri, invertono la tendenza e dicono stop agli insulti tra politici, prendendo le distanze da una precedente linea che prevedeva una sorta di "immunità" per il confronto politico acceso.
Un'arena in cui i vari leader o esponenti di partito potevano "dirsele" di santa ragione, quasi come i partecipanti ai reality, senza incorrere nella condanna per ingiuria. Gli ermellini avevano, infatti, assolto un amministratore comunale per aver definito «compagno di merende» un suo avversario politico, espressione che rientrava nel diritto di critica – secondo la Suprema corte – perché era stato provato in passato un legame del componente della giunta con personaggi equivoci.
In base allo stesso diritto l'aveva passata liscia anche un onorevole che aveva dato del rimbambito al rappresentante di uno schieramento avverso. Nessuna condanna anche per il consigliere comunale che aveva gridato "ladro" al sindaco e invitandolo ad andare a lavarsi perché puzzava. Una "mano pesante" che i giudici della Cassazione avevano giustificato, nel 2001 ai tempi di Tangentopoli, definendola critica politica.
È andata invece male all'ex sindaco di un comune veronese che, forse puntando sui precedenti giurisprudenziali che giocavano a suo favore, si è lasciato sfuggire un «mentecatto» all'insegna del nuovo primo cittadino. Offesa evidentemente arrivata proprio quando la Suprema Corte ha deciso di mettere un freno al turpiloquio tra politici, invitandoli a «rispettare il limite della continenza» che deve consistere in un dissenso misurato che non degeneri in un attacco personale lesivo della dignità dell'avversario. Un trattamento di favore nei confronti dei politici – spiega la Corte - sarebbe in contrasto con il fondamentale principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Ma anche ai comuni cittadini la Cassazione ha perdonato qualche intemperanza assolvendo, nel 2003, un architetto che aveva dato del «trombone» a un consigliere comunale: «una frase mordace e sarcastica entrata a far parte della dialettica politica».