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Ricapitalizzare costerà di più

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2010 alle ore 14:14.


Ricapitalizzare una società costerà di più. Almeno quando lo si fa con fondi utilizzati come finanziamento dei soci. Secondo la Corte di cassazione è, infatti, soggetto all'aliquota del 3% di imposta di registro il finanziamento soci, intervenuto sulla base di un contratto verbale tra socio finanziatore e società finanziata, enunciato nel verbale assembleare nel quale venga deliberata la ricostituzione del capitale sociale azzerato da perdite, mediante rinuncia dei soci alla restituzione del finanziamento con la definitiva acquisizione delle somme versate come patrimonio netto della società. L'indicazione è arrivata dalla Cassazione con la sentenza n. 15585 del 30 giugno 2010.
La sentenza è dirompente in quanto, nella situazione di endemica sottocapitalizzazione in cui da sempre si trova la grande maggioranza delle società italiane con capitale concentrato su una ristretta compagine di soci (con massiccio ricorso alla prassi del finanziamento soci), le operazioni di aumento di capitale o di ripianamento perdite avvengono frequentemente mediante rinuncia dei soci ai finanziamenti effettuati. Ma, nonostante la ricorrenza di queste operazioni, specialmente in un periodo di crisi come l'attuale, non si sbaglia se si afferma che, dalla prassi professionale, non emerge che il fisco abbia mai mostrato attivismo per queste operazioni. Quando la stessa sentenza 15585 si proclama in linea con i propri precedenti 17899/2005, 5946/2007 e 11756/2008, se è vero che la sentenza n. 11756 tratta di un finanziamento soci enunciato nell'ambito di un'operazione di trasformazione della società finanziata, le altre due pronunce non paiono in tema. La sentenza n. 17899 riguarda, infatti, una fidejussione enunciata nell'ambito di un contratto di garanzia e la n. 5946 una cessione immobiliare che una società effettuò per rimborsare "in natura" un finanziamento formalizzato per scambio di corrispondenza tra società e socio finanziatore. In quest'ultima sentenza, quindi, si trattava dell'enunciazione di un contratto soggetto a registrazione solo in caso d'uso (a causa della sua formazione mediante corrispondenza), mentre la sentenza n. 15585 ha come oggetto l'enunciazione di un contratto verbale.

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Tags Correlati: Corte di Cassazione | Imposta di registro |

 

La tassazione degli atti non registrati, enunciati in altri atti sottoposti a registrazione è disposta dalla legge di registro (articolo 22, Dpr 131/86) per evitare l'elusione. Peraltro, si tratta di una norma assai difficile da applicare poiché:
- presupposto della tassazione è che l'atto "enunciato" e l'atto "enunciante" siano «posti in essere fra le stesse parti»: se è facile far riferimento al caso del contratto definitivo che enuncia un contratto preliminare, meno facile è capire cosa succede se l'atto enunciato è bilaterale (compravendita) e l'atto enunciante unilaterale (rinuncia a un credito o a una servitù) oppure, viceversa, (l'atto unilaterale di concessione di pegno che enuncia un contratto di finanziamento);
- la tassazione per enunciazione non si applica se «gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione».
Sotto quest'ultimo profilo, se si pone mente al finanziamento soci passato a capitale, non si è lontani dal vero se si pensa che, nella sostanza, l'effetto giuridico del contratto di finanziamento cessa proprio nel momento in cui il socio rinuncia alla restituzione alla somma versata alla società consentendone la capitalizzazione. Per quanto riguarda, invece, il primo punto, è difficile ipotizzare il concetto di "parte" con riferimento a un verbale di assemblea, in quanto di "parte" si parla propriamente solo in materia contrattuale: il verbale è un documento che "registra" gli eventi assembleari e che, quindi, non si presta a esprimere una "parte" da correlare alle "parti" dell'atto enunciato.
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La sentenza della Cassazione
Conclusioni e problemi aperti
IL PRINCIPIO DELLA CORTE
In tema di imposta di registro, l'articolo 22, comma primo, del Dpr n. 131 del 1986 stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell'atto che contiene l'enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate; ne consegue che va assoggettato ad imposta di registro il finanziamento soci, già inserito tra le poste passive del bilancio, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, e ciò a prescindere dall'effettivo uso del finanziamento medesimo. (Cassazione, sentenza 30 giugno 2010, n. 15585)
LE CRITICITÀ DELLA PRONUNCIA
La sentenza decide la tassazione per enunciazione di un contratto verbale. Peraltro, presupposto della tassazione per enunciazione è che l'atto "enunciante" (sottoposto a registrazione) e l'atto "enunciato" siano «posti in essere fra le stesse parti» (Dpr 131/86). Appare impervio il ragionamento per cui il verbale di un assemblea e il contratto di finanziamento sarebbero atti «posti in essere fra le stesse parti». La sentenza non considera la norma sull'enunciazione che dispone che la tassazione non si applica se «gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene la enunciazione». È invece plausibile che nel passaggio da finanziamento a capitale, il contratto di finanziamento soci cessi i propri effetti

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