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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 08:00.
Commette reato il soggetto che copia durante le prove di un concorso o di esame pubblico. A integrarlo – a prescindere dalla fonte (privata, scientifica o giurisprudenziale) dalla quale si attinga – è la circostanza di aver presentato, come frutto di una personale elaborazione, temi o dissertazioni non proprie. E non varrà a escludere la responsabilità penale l'aver citato la fonte presa a riferimento. Ad affermarlo è stata la Cassazione, sezione VI penale, con la sentenza n. 32368/10.
Il caso
Protagonista della vicenda, una candidata condannata – nel primo grado di giudizio – per avere, durante la prova scritta di un concorso pubblico, consegnato a suo nome un elaborato interamente trascritto da una sentenza del Tar. Non solo, la pronuncia dalla quale era stato preso spunto per la traccia d'esame, le era stata faxata due giorni prima da un membro della commissione.
Due i reati contestati: violazione degli articoli 1 e 3 della legge n. 475/1925 (che sanziona penalmente la falsa attribuzione di un lavoro altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici o titoli) e concorso, con il commissario, nel tentato abuso d'ufficio (articolo 323 del Codice penale). Era evidente come l'imputata avesse posto in essere una condotta «diretta in modo non equivoco» a procurarsi l'ingiusto vantaggio patrimoniale conseguente al superamento della prova (intento non conseguito solamente per via del ricorso – accolto – promosso da un concorrente escluso). Contro la sentenza di condanna, confermata in appello, la donna ricorre per Cassazione tramite il suo difensore. Tra i motivi di impugnazione, spicca quello con il quale l'avvocato si lamenta della violazione della norma che impone l'esclusione del partecipante dal concorso solo in caso di «copiatura del compito sulla base di altro elaborato». Ma, quanto alla sua assistita – rileva il legale – il riferimento era ad una pronuncia del Tar ampiamente diffusa attraverso riviste specialistiche. Tra l'altro, aggiunge, la disposizione incriminatrice assunta come violata, si applicherebbe solo a lavori (dissertazioni, studi, pubblicazioni o progetti tecnici) che siano opera di altri e non certo a sentenze «pubblicate e conoscibili da ogni interessato».