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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 08:02.
In tema di transfer pricing il prezzo comparabile di libero mercato (cosiddetto Cup: comparable uncontrolled price) rimane il metodo da preferire per garantire il rispetto dell'arm's length principle nei rapporti tra imprese consociate, a condizione però che sia assicurato il massimo grado possibile di similarità nelle caratteristiche dei beni e dei servizi oggetto di analisi. Sono queste le indicazioni fornite dalla Ctr Piemonte con la sentenza 25/34/10.
Tra i diversi metodi a disposizione del contribuente e del l'amministrazione finanziaria per testare la congruità del valore di mercato delle transazioni intercompany quello del confronto di prezzo o Cup è sicuramente il più diretto, sostanziandosi nel raffronto del prezzo della transazione in verifica con quello che verrebbe praticato per transazioni comparabili tra imprese indipendenti (cosiddetto Cup esterno), ovvero tra la stessa impresa in verifica e un'altra impresa indipendente (cosiddetto Cup interno).
In questo ambito, le linee guida Ocse sul transfer pricing – nella versione del 1995, come pure in quella da ultimo approvata lo scorso 22 luglio – precisano che per l'utilizzo del Cup la similarità dei beni e dei servizi riveste un ruolo fondamentale al fine di garantire un grado affidabile di comparabilità e ciò, di regola, in misura maggiore rispetto agli altri metodi tradizionali, quali il resale price o il cost plus, come pure rispetto ai metodi sui margini di utile per i quali il banco di prova per valutare il grado di comparabilità delle transazioni in verifica sarebbe rappresentato dalla cosiddetta functional analysis, vale a dire l'analisi delle funzioni e dei rischi assunti dalle parti. Ciò non implica, ovviamente, che la comparabilità delle caratteristiche dei beni e dei servizi possa essere del tutto ignorata nell'adozione dei metodi alternativi al Cup, laddove questa abbia comunque un qualche riflesso per il corretto svolgimento della functional analysis.
I giudici di secondo grado del capoluogo piemontese hanno confermato le ragioni della società resistente, sull'assunto che la pretesa avversa fondasse su presupposti di fatto errati, visto che i prodotti presi a raffronto non presentavano caratteristiche comparabili e tra l'altro avevano un posizionamento di mercato differente, così disattendendo i canoni di analisi prescritti dalle linee guida Ocse. Al riguardo, la società resistente, fin dal primo grado, aveva prodotto in giudizio una relazione tecnica predisposta dal laboratorio oli minerali della stazione sperimentale di Milano, da cui risultava prima facile come i prodotti comparati dal fisco presentassero caratteristiche tecniche e prestazioni irrimediabilmente differenti rispetto a quelli della società.