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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:00.
Il detenuto in carcere duro non può leggere quotidiani locali del territorio di provenienza, se c'è pericolo che – sulla base di quanto appreso da determinate notizie di cronaca – possa decidere di impartire ordini agli altri associati. Uniche letture consentite, in tali casi, quelle di stampa nazionale. Ad affermarlo, la Cassazione, sezione I penale, con la sentenza n. 32976/10.
Protagonista della vicenda processuale, un recluso sottoposto – per fatti associativi – al regime carcerario di massima sicurezza ai sensi dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Nei confronti dell'uomo, esponente di un sodalizio criminale, era stato prorogato per ulteriori tre mesi il divieto di acquisto e ricezione di giornali non riconducibili a testate nazionali. Contro la proroga, il detenuto ed il suo legale propongono reclamo in Cassazione chiedendo l'annullamento della relativa ordinanza. A motivare la richiesta, il fatto che il tribunale, secondo la tesi difensiva, avrebbe agito al di fuori di ogni schema di legge, eccedendo nei poteri attribuitigli. In altre parole, emettendo l'ordinanza reclamata, i giudici avrebbero violato, tra gli altri, gli articoli 18-ter e 41-bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975 (meglio nota come ordinamento penitenziario). In particolare, il citato articolo 18 ter non farebbe espresso riferimento al divieto di ricezione dei giornali che il direttore della casa circondariale, conclude l'avvocato «non può operare automaticamente e richiederlo, né il giudice adottarlo».
Nettamente difforme è l'opinione della Cassazione, che rigetta il ricorso ritenendolo infondato. Difatti, precisa, il richiamato articolo 18 -ter prevede a chiare lettere che, per esigenze investigative, preventive, o per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possano essere disposte una serie di restrizioni nei confronti dei reclusi. Tra queste: limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica, sottoposizione delle lettere a visto di controllo, ispezione del contenuto delle buste che racchiudono le missive o, – come è accaduto nel caso specifico – limitazioni nella ricezione della stampa. Inoltre, quanto al potere della dirigenza carceraria di impedire la lettura dei giornali da parte del detenuto appartenente a cosche criminali, la prima sezione penale della Cassazione si era già espressa in senso favorevole con pronuncia n. 23044 del 14 maggio 2009 soffermandosi a precisare che «solo il direttore del carcere, a stretto contatto con la gestione dello stabilimento, può conoscere delle esigenze di sicurezza che consiglino di sottoporre a controllo la corrispondenza non consentendo l'acquisto della stampa».