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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:01.
L'accertamento bancario sufficientemente motivato legittima a pieno titolo la rettifica di quanto dichiarato del contribuente ai fini Iva. Incombe su quest'ultimo fornire le spiegazioni sugli assegni, sulla loro natura e soprattutto sull'effettivo beneficiario. Lo precisa la Cassazione con l'ordinanza n. 18943/10.
La Corte si è trovata alle prese con una vicenda che ha visto protagonisti sei assegni emessi da un privato a vantaggio di un terzo. L'ufficio aveva provveduto a emettere un avviso di rettifica parziale Iva per l'anno 1998. Nei due precedenti gradi di giudizio si era arrivati alla conclusione che, poiché si trattava di movimenti intercorsi tra privati, il tutto doveva essere ricondotto al rapporto personale che intercorreva tra i due soggetti. Mancava quell'elemento in più che potesse attribuire ai sei assegni una finalizzazione di natura commerciale. La Corte ha rilevato l'errore commesso in primo e secondo grado. I giudici,secondo l'ordinanza, non hanno provveduto a verificare chi fosse il beneficiario effettivo degli assegni. La persona fisica, infatti, non aveva incamerato la somma in nome proprio, ma aveva provveduto a girare i titoli di credito a favore della propria azienda.
Per la Ctr Campania (sentenza n. 180/2008), l'appellata società aveva ragione in quanto non solo aveva offerto scritture contabili tenute regolarmente ma aveva fornito anche prove documentali e con date certe che le operazioni relative agli assegni non potessero dimostrare il rapporto commerciale sottostante.
Sul punto la sentenza ha rilevato, inoltre, che la motivazione contenesse un ulteriore errore. Sulla base di quanto previsto dall'articolo 54, comma 3, del Dpr 633/1972 il riscontro di movimentazioni su conti correnti bancari non risultante in contabilità (benché questa a parere dei giudici di merito fosse stata tenuta in maniera regolare) rappresenta di per sè un elemento presuntivo per l'accertamento.
I giudici di appello, inoltre, non avevano valutato in maniera critica quanto stabilito in primo grado, adeguandosi a quanto stabilito dai giudici della Ctp (sul punto tra le tante si vedano le sentenze di Cassazione n. 2268/06; 11488/04 e 4510/00). Corrette, quindi, le censure mosse dall'Agenzia nei confronto della sentenza appellata deducendo che la «motivazione fosse del tutto insufficiente e inidonea a giustificare la decisione di estraneità delle transazioni sottese ai sei assegni bancari alla attività economica imponibile Iva, perché la Ctr non aveva specificato quale fosse la documentazione ritenuta rilevante a titolo di controprova, ne aveva precisato in che modo la valutazione della stessa avesse consentito di ritenere superata la presunzione relativa di cessione soggetta a Iva».
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