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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 08:07.
Elenchi back list in cerca di certezze. Nonostante l'obbligo di monitoraggio delle operazioni sia ufficialmente scattato il 1° luglio e sia ormai incombente la data di prima presentazione dei modelli, prevista per il 2 novembre, gli operatori devono confrontarsi con una situazione ancora in divenire.
Gli stati della lista
Sul fronte delle certezze, va segnalato che il Dm 5 agosto 2010 ha incluso, tra i dati da trasmettere, le prestazioni di servizi che non si considerano effettuate in Italia per carenza del requisito territoriale poste in essere con operatori black list. Ma qui subentra un primo problema, ossia l'individuazione esatta di questi Paesi. Posto il rinvio operato dal Dl 40/2010 ai decreti del 1999 e del 2001 (relativi, rispettivamente, alle persone fisiche e alle Cfc), resta da capire se, ai fini della comunicazione, gli Stati nominati in quest'ultimo Dm (e non anche in quello del '99) debbano intendersi black list senza riserve, ovvero siano da considerare tali solo al sussistere delle particolari condizioni fissate dalla disposizione. A favore di questa applicazione "attenuata" della normativa deporrebbe – come fa notare anche Abi nella circolare 21 del 17 settembre – il dossier 217 del 2010 del servizio studi del Senato, dove, a commento dell'articolo 1 del Dl 40/2010, si legge che, quanto al Dm del 2001, i Paesi di cui all'articolo 3 sono considerati black list «limitatamente alle condizioni specificatamente individuate per ciascuno di essi». Se così fosse, il Lussemburgo, per rimanere in ambito Ue, sarebbe interessato dall'obbligo solo relativamente alle operazioni compiute con le holding del 1929 (peraltro dichiarate incompatibili con l'ordinamento comunitario). Tuttavia, in via ufficiosa, l'amministrazione parrebbe orientata in senso diverso, per cui i Paesi nominati nei decreti sarebbero black list tout court, senza eccezioni.
L'elemento oggettivo
Passando al piano oggettivo dell'obbligo, sembra certo che negli elenchi siano da includere solo le operazioni rilevanti ai fini dell'Iva in quanto cessioni di beni o prestazioni di servizi. Resta pertanto fermo che tutte le operazioni non qualificabili come tali in base, rispettivamente, agli articoli 2 e 3 del Dpr 633/1972 (come le somme pagate a titolo di risarcimento) sono escluse dalla comunicazione in quanto prive del requisito oggettivo. In quest'ottica, l'obbligo di riepilogare anche le operazioni «non soggette agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto», di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) del Dm 30 marzo 2010, va interpretato come riferito alle operazioni comunque dotate del predetto requisito oggettivo (ma, ad esempio, carenti del presupposto territoriale).