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Norme e Tributi Diritto

In caso di molestie sul lavoro sono prove anche i video non autorizzati

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 18:28.

Utilizzabili nel corso del processo i video girati da una dipendente sul luogo di lavoro per provare le molestie subite dal capo. La Corte di cassazione con la sentenza 37197 (si legga il testo su Guida al diritto) ribalta la decisione del Gip di Trani che aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un professionista denunciato da un'impiegata costretta a subire le sue avances sotto la minaccia del licenziamento. Vessazioni e atti sessuali che la donna, in accordo con la polizia, aveva filmato.

Gli ermellini precisano che le sole comunicazioni verbali non possono essere utilizzate perché, al pari delle intercettazioni, hanno bisogno di un' autorizzazione, mentre le immagini "non comunicative" sono utili se girate in posti che non soggetti a protezioni particolari, dunque pubblici o aperti al pubblico. Proprio in base alla considerazione che il via libera non riguarda i luoghi riconducibili al concetto di domicilio - coperti da una tutela costituzionale - il Gip aveva escluso la possibilità di produrre i filmati in udienza perché ripresi in uno studio privato.

Un argomento che gli ermellini superano, affermando che l'abituale ambiente di lavoro costituisce il domicilio del dipendente per il periodo di tempo limitato alla sua giornata lavorativa. Con la ripresa visiva sottolinea la Suprema corte «sia pure eseguita furtivamente, la parte lesa non ha violato con interferenze indebite la intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che si devono mantenere nell'ambito privato essendo, si ripete, nel suo domicilio e riprendendo illeciti che la riguardavano». Sì dunque alla video ripresa, purché ovviamente finisca nelle aule giudiziarie e non su Youtube o su Facebook.

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