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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2010 alle ore 06:41.
Il condono tombale non è "morto". Se ne sono accorti molti contribuenti che avevano aderito alla sanatoria approvata nel 2002 dal Governo Berlusconi per chiudere i conti con un passato tributario non proprio ligio. Negli ultimi mesi si sono visti notificare verbali dalla Guardia di Finanza e accertamenti dall'agenzia delle Entrate con contestazioni che riesumavano proprio gli anni d'imposta teoricamente perdonati (il 2001 e il 2002, in particolare). Esibire la documentazione di adesione alla regolarizzazione? Per ora inutile. Perchè la condotta dell'amministrazione finanziaria è tanto inflessibile quanto, dal punto di vista formale, ineccepibile. Le spiacevoli sorprese per i contribuenti, infatti, derivano dal "combinato disposto" di due provvedimenti: da un lato, il decreto Bersani del 2006 (Dl 223) che ha raddoppiato (da quattro a otto anni) i termini di accertamento quando ci si imbatte in fatti penalmente rilevanti; dall'altro lato, le sentenze con cui la Corte di giustizia Ue nel luglio 2008 e la Cassazione dopo hanno disconosciuto il condono Iva lasiando senza copertura i reati commessi in passato. L'adesione al condono, perciò, si sta traducendo in una sorta di "autodenuncia", di fronte alla quale – oltrepassata la soglia dei 100mila euro fissata dal Dlgs 74/00 per assegnare caratura penale a questo tipo di illeciti tributari – i controllori sono obbligati a informare l'autorità giudiziaria. La semplice notizia di reato, a sua volta, fa scattare il raddoppio dei termini, per cui anche se sono trascorsi molti anni si possono subire verifiche. E si può essere costretti a giustificare situazioni contabili finite sotto la lente del Fisco magari non avendo più la documentazione per difendersi. Con il Dl Bersani, di fronte al sospetto di un reato tributario comunicato alla Procura (basta questo), le irregolarità condonate e commesse nel 2001 diventano contestabili fino al 31 dicembre 2010 (anziché fino al 31 dicembre 2006). Quelle relative al 2002, fino al 31 dicembre 2011 (anziché fino al 2007).
Ecco come stanno risorgendo gli "spettri" di controlli spesso milionari. Per i contribuenti restano l'amarezza e l'incertezza di vedersi contestare vicende sulle quali ritenevano di aver messo una pietra sopra, confidando in una legge statale. Per Entrate e Fiamme Gialle – finché resterà questo il quadro normativo – la chance di allungare il periodo di accertamento va sfruttata al massimo. Anche se l'ordinario termine di prescrizione (un anno più quattro) è scaduto. Per quanto su questo punto dovrà pronunciarsi ora la Corte costituzionale, chiamata in causa poche settimane fa dalla commissione tributaria di Napoli. La Consulta dovrà chiarire se il raddoppio dei termini può scattare "sempre" o se deve essere subordinato al fatto che gli ordinari termini di decadenza dell'accertamento siano ancora "aperti".