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Norme e Tributi Enti locali e PA

Piano per garantire la sicurezza in sala parto

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 09:52.

Dopo un'estate costellata di clamorosi casi di malasanità in sala parto arriva l'atteso piano per la sicurezza. Un "decalogo" dettagliatissimo di 42 pagine che il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha appena consegnato alle regioni. Dieci "comandamenti" per ridurre drasticamente errori e incidenti, incentivare il parto senza dolore e convincere i nostri ginecologi a ricorrere di meno ai cesarei: siamo il Paese con il record assoluto, praticamente quattro bambini su dieci sono figli del bisturi. Troppi. Anche perché «il rischio di morte materna – avvertono le «linee di indirizzo» – è di 3-5 volte superiore rispetto al parto vaginale».

La ricetta del ministero – che sarà anticipata integralmente sul prossimo numero de «Il Sole 24 Ore Sanità» – punta, innanzitutto, sull'addio ai 158 punti nascita (spesso piccole cliniche o reparti ospedalieri) che effettuano meno di 500 parti l'anno. E a una rimodulazione degli altri 190 che ne effettuano meno di mille: sopravvivranno solo se potranno dimostrare che esistono «bisogni reali» legati al territorio. La scure sulle mini-strutture - dove i cesarei raggiungono la quota record del 50% - è la principale, delle dieci «linee d'azione».

Non soltanto perché sfoltisce i centri, ma anche perché li suddivide in due livelli, definendo per ciascuno requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici molto precisi. A fare la differenza è soprattutto la presenza o meno di un reparto autonomo di neonatologia e la disponibilità di una terapia intensiva neonatale. L'identikit è così dettagliato che rischia di lasciare fuori più di un ospedale e di una casa di cura. Tra numero di sale da dedicare al parto (come minimo due) fino alle incubatrici (da due a sei) e ai letti per la rianimazione.

Per arginare il boom del cesareo il piano interviene anche sul terreno minato delle tariffe, con un invito esplicito a rivedere la remunerazione in modo da disincentivare il ricorso al bisturi dove non necessario. Come? Inserendo «nella determinazione dell'importo» da rimborsare alla struttura «un riferimento esplicito alla qualità della prestazione». Magari misurata in base all'adesione a «determinate procedure».

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Il piano fissa anche più di un paletto sul parto con analgesia, «tecnica diffusa – avverte il documento – con modalità non omogenee e insufficienti nelle varie parti del Paese». In attesa del varo dei nuovi livelli essenziali di assistenza che promuovono il controllo del dolore nel parto tra le cure da garantire a carico del Ssn (il nuovo decreto è “congelato” da tempo) questa tecnica va effettuata all'interno di «un percorso definito». Che preveda la presenza nella struttura «nell'intero arco della giornata» di un anestesista.

Ogni punto nascita, indipendentemente dal livello, è chiamato poi a predisporre una Carta dei servizi: una lista che indichi sia i servizi offerti, compreso il numero di parti effettuati ogni anno, la consistenza degli organici a ogni turno di guardia e il tasso di mortalità materna e neonatale, sia le informazioni da assicurare a ogni donna che accede alla struttura. La sicurezza, insomma, deve necessariamente passare anche dalla trasparenza.

Cruciale, per il ministero, è infine l'integrazione tra ospedale e territorio per accompagnare la donna dalla gravidanza al post partum. Le carenze odierne hanno spesso convinto molte mamme a ricorrere all'assistenza privata. Come rimediare? Soprattutto rafforzando i consultori familiari in quantità e qualità.

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