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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2010 alle ore 08:08.
Gli ingredienti classici ci sono tutti: un bilancio che si arrotola in un rosso in rapida crescita, i buchi delle partecipate che affossano i conti del comune, un derivato che promette scintille, e una bella polemica fra la vecchia giunta di centrosinistra e l'attuale a guida Pdl sulla paternità del disavanzo. Solo che non siamo nella Roma del maxidebito che impegna le finanziarie nazionali, e nemmeno in un paesino di quella Calabria dove un comune su tre ha già conosciuto il dissesto. Siamo ad Alessandria, Piemonte, dove i crack municipali sono rarissimi (da quando esiste, il dissesto in Piemonte ha riguardato cinque mini-comuni con una manciata di abitanti) e dove si aspetta il federalismo fiscale per poter finalmente «tenere i soldi a casa nostra».
Averceli, i soldi. In realtà, la comparsa di Alessandria nel rosario dei comuni in rosso recitato ogni anno dalla Corte dei conti risale al 2008: «squilibrio» da 2,4 milioni, 26 euro ad abitante. Passano 12 mesi e il buco raddoppia, 4,8 milioni, nonostante il fatto che nel tentativo di far tornare i conti siano stati messi fra le entrate 1,7 milioni di multe extra e i proventi di una cessione che si sarebbe chiusa solo quest'anno, facendo storcere il naso ai revisori.
Nemmeno il 2010 è sulla buona strada, al punto che anche il preventivo sembra zoppicare: le entrate «stabili e ordinarie», quelle che per legge devono garantire l'equilibrio, arrancano poco sopra i 94 milioni, cioè 10 milioni abbondanti sotto le spese correnti. Ma ci sono numeri anche più strani: ad Alessandria, stando al bilancio, nel 2010 i rifiuti costano 10,5 milioni di smaltimento ma fruttano 16,5 milioni di tariffa, con un tasso di copertura del 158% che non ha pari in Italia. Un affarone: peccato che il costo preventivato dal Consorzio di bacino sia quasi il doppio, e che i sei milioni di extra andrebbero restituiti ai cittadini perché la tariffa deve coprire il costo, non diventare un business (lo dice la Corte dei conti).
«Cominciamo col dire», ha scritto l'assessore al bilancio in una lettera aperta a chi aveva iniziato a evocare il dissesto, che fra 2002 e 2007 (quando c'era il centrosinistra, ndr) il comune ha registrato «un debito addizionale addirittura di circa 125 milioni, mentre fra 2008 e 2009 il debito è cresciuto solo di 8 milioni». Detto questo, ora il piano prevede privatizzazioni delle società, che l'anno scorso si sono ingoiate più di 6 milioni, e dismissioni di patrimonio, ma le prime aste non hanno radunato nessuna calca di aspiranti acquirenti. Anche perché, si sa, quando il venditore ha l'acqua alla gola, il prezzo scende.