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Norme e Tributi Diritto

Condono senza effetti penali

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2010 alle ore 09:48.

Tornano d'attualità gli effetti penali del condono Iva. Lo testimoniano gli avvisi di accertamento che stanno giungendo a molti contribuenti che hanno aderito al condono (si veda «Il Sole 24 Ore» del 27 ottobre).
Ma andiamo con ordine. Se la legge prevede una causa estintiva del reato per chi ha condonato un periodo di imposta, il contribuente non può poi vedersi sottoponibile a pena per il fatto che la norma stessa sul condono viene ritenuta illegittima. In questo caso, vale il principio generale della «certezza del diritto» in base all'articolo 25 della Costituzione: il cittadino deve sapere, nel momento in cui agisce, quali saranno le conseguenze del proprio comportamento.

Con l'impostazione «formalistica» seguita dal fisco, invece, una volta caduta la copertura del condono, il reato fiscale relativo alle annualità in questione torna a essere punibile, sempre ovviamente che non sia maturata la prescrizione. Il problema, peraltro, si intreccia con il raddoppio dei termini introdotto dal Dl 223/06, che viene inteso dalle circolari dell'amministrazione finanziaria nella maniera più rigorosa possibile, anche se l'ordinanza n. 266/10 della Ctp Napoli ne ha appena disposto il rinvio alla Consulta (si veda «Il Sole 24 Ore» di lunedì 11 ottobre).

In realtà, le annualità condonabili sono quelle fino al 2002. Con il raddoppio risultano ancora accertabili tutto il 2001 (fino al dicembre 2010) e tutto il 2002 (fino al dicembre 2011). E, dopo il condono, il contribuente non è più tenuto a conservare le scritture e quindi non può neanche più difendersi dal reato che gli viene contestato.

Il legislatore è chiamato a chiarire che le norme sul «raddoppio» non possono essere intese – come in effetti alla lettera non possono – nel senso di una possibile riapertura di termini già chiusi. L'istituto si applica solo ai casi in cui i termini per l'accertamento sono ancora aperti: la diversa prassi operativa del fisco di estenderlo anche alle annualità già chiuse è contra legem. Inoltre, sebbene le sentenze europee prevalgano sulle normative interne, occorre una disposizione che – in applicazione del principio costituzionale della «certezza del diritto» in materia penale – ritenga comunque intangibili gli effetti penali di istituti favorevoli.

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Tags Correlati: Corte Costituzionale | Corte di Cassazione | Norme sulla giustizia

 

Dunque, il contribuente che ha aderito al «condono tombale» (fino al 2002) ha in primo luogo il diritto (costituzionalmente tutelato) a vedersi riconosciuta l'estinzione dei reati fiscali commessi in tali annualità, quale che sia la successiva vicenda giurisprudenziale sul condono Iva. In nessun caso si può avere una riapertura dei termini per accertare periodi di imposta già chiusi. Né si può pretendere dal contribuente che esibisca documenti che, in virtù dell'adesione al condono, aveva il diritto di eliminare. Un'interpretazione che non tenesse conto di questo verrebbe a urtare contro il principio del «legittimo affidamento», che non solo lo statuto del contribuente, ma la stessa Costituzione (per i profili penali, l'articolo 25), tutelano in maniera molto forte.

In questo contesto si innesta la sentenza 34871/10 della Cassazione. In prima battuta, si è desunto che la ritenuta illegittimità del condono Iva da parte della Corte Ue farebbe cadere la non punibilità dei reati per i contribuenti che hanno ricorso al condono stesso. Tale principio, però, non è specificamente affermato dalla pronuncia, che si è limitata a richiamare il precedente delle sezioni unite civili n. 3674/10, relativo solo alla «rottamazione dei ruoli». Non può, quindi, essere considerato come un riferimento in materia di effetti penali della declaratoria di illegittimità del condono Iva. D'altronde il caso concreto esaminato dalla pronuncia riguarda un contribuente che non avrebbe potuto usufruire del condono non avendo, per l'anno interessato, presentato una valida dichiarazione Iva.

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