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Norme e Tributi Fisco

Niente rimborso dell'iva applicata alla tariffa rifiuti

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2010 alle ore 09:41.

L'Iva sulla tariffa rifiuti si deve pagare, anche se la Tia concretamente applicata negli enti locali è quella prevista dal decreto Ronchi, e non quella "nuova", disciplinata dal codice dell'Ambiente. A scrivere il nuovo capitolo della saga sull'imposta, che dura ormai da oltre un anno, è il dipartimento delle Finanze con la circolare 3/2010 (anticipata sul Sole 24 Ore di ieri).

A motivare l'applicazione dell'Iva sulla tariffa rifiuti, e di conseguenza lo stop ai rimborsi, nel documento delle Finanze, è la «sostanziale identità» tra la tariffa introdotta dal Dlgs 22/1997 (la Tia 1) e quella riscritta dal Dlgs 152/2006 (la Tia 2), che ancora non viene applicata dai comuni perché attende ancora il regolamento attuativo.

Ad aprire la contesa è stata la Corte costituzionale, che nella sentenza 238/2009 aveva definito la Tia un «tributo», sulla base del fatto che il pagamento non è direttamente correlato alla quantità dei rifiuti prodotti e quindi non può essere interpretato come un corrispettivo del servizio reso. Se la Tia è una tariffa di nome ma un tributo di fatto, non può essere gravata dall'Iva che rappresenterebbe nei fatti una doppia imposizione. Un problema che dovrebbe essere superato con l'applicazione della nuova Tia, caratterizzata da un meccanismo di calcolo più complesso che lega in modo diretto la quantità dei rifiuti prodotti e la tariffa da pagare.

La pronuncia costituzionale ha attivato la macchina dei contenziosi, in cui alcuni contribuenti si sono già visti sancire dal giudice di pace il diritto al rimborso dell'Iva "illegittima" pagata negli ultimi anni. Un indennizzo generalizzato, però, avrebbe conseguenze pesanti sulle casse dello stato (l'Anci ha stimato in 1,5 miliardi il valore complessivo della partita, che coinvolge circa 16 milioni di cittadini sparsi in oltre 1.200 comuni), oltre a determinare un groviglio ingestibile nel caso dei contribuenti commerciali e industriali, che operano in campo Iva e quindi scaricano l'imposta pagata sulla Tia.

Per correre ai ripari, la manovra correttiva (articolo 14, comma 33 del dl 78/2010) ha provato a contraddire la pronuncia costituzionale, stabilendo per legge che la Tia è una «tariffa» e che quindi l'Iva va pagata. Il problema nasce dal fatto che, nella fretta, il legislatore aveva sbagliato tariffa, e aveva sancito la natura tributaria della Tia 2 (quella ancora inattuata) e non della Tia 1 (quella esaminata dai giudici delle leggi). Un ordine del giorno, accolto dal governo, aveva poi chiesto di interpretare la definizione offerta dalla legge come "estesa" anche alla Tia 1.

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Le Finanze provano a risolvere la questione, sostenendo che le due forme di Tia siano in pratica la stessa cosa. Questa "identità sostanziale" si basa sul fatto che la nuova tariffa potrebbe in teoria essere adottata anche utilizzando i regolamenti locali che disciplinavano la vecchia. Questa scelta non è stata seguita dai comuni, che continuano a dividersi fra regime Tarsu e regime Tia 1, ma la possibilità offerta dalla legge (si tratta dell'articolo 5, comma 2-quater, del Dl 208/2008) mostra, secondo la circolare, che «i due prelievi presentano analoghe caratteristiche», e «sono regolati dalle stesse fonti normative». In un quadro come questo, «non appare razionale attribuire alla Tia 1 una natura giuridica diversa da quella della Tia 2», tanto più che, come dimostra anche l'ordine del giorno accolto dal governo, «la volontà del legislatore è stata anche quella di dare nuova veste alla Tia 1». Conclusione: «Se la Tia 2 ha natura di corrispettivo, ed in quanto tale è assoggettabile all'Iva, non può affermarsi diversamente per la Tia 1».

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