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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2010 alle ore 09:45.
È sconfortato Piero Schlesinger, avvocato, storico docente di Diritto privato alla Cattolica di Milano, dirigente in primari istituti di credito. «Questa legge – sottolinea – è una resa di fatto al corporativismo».
Professore, inutile nascondere che uno dei punti chiave è rappresentata dalla reintroduzione delle tariffe. Lo considera un arretramento rispetto ai tentativi della legge Bersani?
Senza dubbio. L'avvocatura ha esercitato una pressione fortissima per il ritorno delle tariffe e questo risultato è stato portato a casa. Non posso però che constatare che siamo un Paese ben strano: il dibattito pubblico è sovraccarico di richiami al liberismo, di sollecitazioni a una maggiore concorrenzialità, e poi una categoria chiave per il presente e, mi auguro, anche il futuro delle libere professioni, sceglie l'arroccamento. Faccio fatica a capire.
Ma non si tratta di una scelta in qualche modo comprensibile alla luce dei dati sul numero degli avvocati, in aumento, e sui loro redditi, in netto calo?
Può anche darsi, ma non sempre la preoccupazione porta a prendere le migliori decisioni. Si tratta alla fine di una lotta per conservare una posizione e uno status che non è forse più possibile conservare per oltre 220mila professionisti. Meno grave mi sembra invece la riserva sulla consulenza, soprattutto perché mitigata da alcune "oasi" nelle quali aprire ad altre competenze evidenti.
E ai giovani studenti in giurisprudenza quale messaggio arriva da questa legge?
A mio avviso un messaggio triste. In linea peraltro con l'esasperazione della gerontocrazia che affligge il paese. Certo esiste il problema di una maggiore selezione della classe forense per ottenere una migliore qualità nell'esercizio della professione, ma non mi pare che questa legge proceda in quella direzione. E il futuro non è incoraggiante: pensiamo anche solo alla mediazione obbligatoria che rischia di vedere in campo come conciliatori i più mediocri tra i legali che vi vedranno solo un'occasione di lavoro.
Servirebbe allora l'introduzione del numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza?
No, sono contrario. Si tratterebbe solo di un'altra forma di esclusivismo di cui non si sente affatto il bisogno.