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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 16:40.
Sono tante, brave, preparate e anche idealiste, ma guadagnano molto meno dei colleghi maschi perché hanno meno tempo da dedicare al lavoro e perché sono discriminate dalla clientela, che troppo spesso le incasella nella parte dei buoni (quattro volte su cinque parte civile anziché difensore dell'imputato, per esempio) o nel ruolo tradizionale e ormai un po' stretto del contenzioso familiare.
Al Congresso nazionale forense è l'ora delle donne, non solo perché due avvocate sono da poco entrate nel Consiglio (con 24 uomini, però), ma soprattutto perché di 2mila delegati 800 sono quota rosa, il 40% della platea.
Le buone notizie per le donne in toga, più che nei numeri del rapporto Censis-Cnf-Aiga che sarà presentato oggi, sono nella nuova sensibilità che la politica sembra far emergere nei loro confronti, come dimostra la riforma forense approvata in prima lettura tre giorni fa dal Senato. L'esenzione per le mamme, fino al compimento dei due anni dei figli, dal dimostrare l'effettività e la continuità della professione, oltre all'istituzione obbligatoria delle Commissioni pari opportunità negli Ordini sono segnali del cambio di prospettiva.
La fotografia della professione resta comunque molto ancorata agli stereotipi. L'85% delle avvocate intervistate denuncia una capacità di reddito «molto inferiore» rispetto ai colleghi maschi, situazione comune in tutto il territorio nazionale. Omogenea è la spiegazione che le donne in toga si danno di questa inespugnabile sperequazione: un'avvocata su due, abbia 27 o 65 anni, è convinta che sia dovuta alla minore disponibilità di tempo da passare in studio, l'identica percentuale crede che a discriminarle sia la clientela, una legale su sette è convinta che ci sia un difetto di rappresentanza delle donne della giustizia.
L'indagine Censis è quindi la base delle proposte delle quote-rosa, che partono appunto dalla rappresentanza (oggi si contano 13 donne-presidenti di ordini e 31 segretari) da riequilibrare con «meccanismi per la compresenza negli ambiti decisionali», passano attraverso il cambio di cultura delle stesse protagoniste (formando il dominus di studio alle pare opportunità) e attraverso la specializzazione su materie ritenute «maschili», come il diritto societario. Perché le donne in toga sono ancora troppo "avvocati di prossimità", chiamate in causa per questioni di famiglia e minori (il 68,5% delle intervistate), per proprietà e condomini (55,2%) e infortunistica varia (50%), ma quasi mai per reati societari (una su 40) e per reati contro la pubblica amministrazione (una ogni 25); e quando entrano in un'aula per un reato contro la persona, quattro volte su cinque le avvocate rappresentano chi ha subìto il torto, cioè quasi sempre la parte economicamente più debole.