Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 09:59.
I proventi dello sfruttamento della prostituzione sono tassabili. Per gli stessi non può essere riconosciuta invece alcuna detrazione. In particolare, «anche a voler considerare il "compenso" delle ragazze quale "costo", esso sarebbe indeducibile, rappresentando l'aspetto economico dell'attività illecita, in altri termini "il costo del reato"».
In base a queste considerazioni la Corte di cassazione (terza sezione penale) ha confermato la condanna, decisa nei precedenti gradi di giudizio, per la mancata dichiarazione nell'anno 2003 di quasi 200mila euro di ricavi derivanti, appunto, dallo sfruttamento della prostituzione. La Cassazione (sentenza n. 42160, depositata ieri), consolidando perciò il proprio orientamento in materia, ha respinto le argomentazioni difensive che puntavano sulla "confusione" tra il reddito percepito dalle ragazze e quello incassato dalla persona accusata di sfruttamento. Per la difesa infatti «l'attività di meretricio o prostituzione non costituisce reato e quindi il reddito percepito dalle ragazze non può costituire una base imponibile rilevante».
Per la Corte, però, le somme percepite dalle prostitute costituivano per chi le sfruttava «un "costo" nell'esercizio della sua attività di sfruttamento della prostituzione, come tale "illecito" e quindi non detraibile». Fa da riferimento, in questi casi, l'articolo 14, comma 4, della legge 537/93 secondo cui «nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, devono intendersi ricompresi se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro».
Già nel 1997 la Cassazione si era peraltro pronunciata per chiarire che «l'essere considerati redditi tassabili non toglie ai proventi in questione, il carattere di illiceità loro proprio e non esclude la punibilità dell'attività illecita che li ha generati».
Una volta stabilito il principio che il provento illecito costituisce reddito tassabile, da esso non possono non derivare tutti gli obblighi di natura fiscale. «Con la conseguenza che, in caso di omissione, trovino applicazione le sanzioni penali previste dal decreto legislativo n. 74 del 2000. Una diversa conclusione – conclude la Corte – comporterebbe una evidente (e non comprensibile) disparità di trattamento con i redditi derivanti da attività lecite».