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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 08:18.
In pensione nei prossimi dieci-quindici anni 115mila medici. Un esercito: il 38% della popolazione medica attiva e il 52% dei dottori arruolati nel servizio sanitario nazionale, entro il 2025, appenderanno il camice al chiodo e svuoteranno le fila di quella che fino a pochi anni fa era la "pletora medica". Una vera e propria emorragia, su cui lancia l'allarme la Federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri, che giovedì e venerdì a Roma ha riunito mondo accademico e sindacati, società scientifiche ed esperti internazionali per analizzare la situazione e proporre i suoi rimedi.
I dati, intanto: stando alle proiezioni della Federazione, entro il 2025 usciranno dalla professione attiva il 48% dei medici dipendenti del Ssn, il 62% dei medici di famiglia, il 58% dei pediatri di libera scelta e il 55% degli specialisti delle Asl che oggi hanno tra 51 e 59 anni. Di poco cambia la prospettiva se la finestra d'uscita considerata è a 65 o a 67 anni. Il problema, allora, è fronteggiare la carenza di organici garantendo un ricambio rapido ed efficiente.
Ma con l'attuale meccanismo formativo che non dà spazio nelle università a nuovi iscritti rispetto alle necessità del territorio, con un tasso di mortalità studentesca che arriva al 16%, con i ripetuti blocchi alle assunzioni – denunciano dalla Fnom – ben poco si può fare. Quel che serve è una rivoluzione, da cui esca una nuova generazione di medici «capace – spiega il presidente Fnom Amedeo Bianco – di far fronte alla complessità che le sfide della professione richiedono, dalla bioetica alle capacità manageriali, dalla deontologia alle tecnologie».
Riscrivere le regole d'accesso alle facoltà di Medicina è il primo passo: addio allo strapotere dei quiz – è la richiesta – e largo al test di selezione unico su scala nazionale. Via libera, ancora, alla «long life education»: la formazione continua, garantita e certificata durante l'intera vita professionale del medico. Ma la proposta shock è un'altra: secondo la ricetta Fnom cinque anni di lavoro effettivo – e validato – nel Ssn equivarranno a una specializzazione universitaria guadagnata fuori degli atenei.
Altolà allo strapotere delle università nella programmazione delle specialità e nella gestione delle scuole di specializzazione, dunque: «I posti disponibili – denunciano dalla Fnom – sono oggi condizionati alle capacità formative e alle vocazioni delle facoltà di Medicina e al contingentamento dei contratti di formazione». Una realtà che confina i 25mila medici in formazione specialistica tra le mura delle unità operative a direzione universitaria, mentre la domanda di cure esigerebbe ben altra programmazione.