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Norme e Tributi Diritto

Copiare i «file» non è un furto

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2010 alle ore 09:22.

Non c'è furto in caso di copiatura di file con dati riservati sulla clientela di un'impresa. Semmai rivelazione del segreto professionale, se a commettere l'infrazione è un dipendente della società che in questo modo favorisce la concorrenza. A precisare i contorni dei reati è la Corte di cassazione con la sentenza n. 44840 della quarta sezione penale depositata ieri.

Il caso approdato davanti ai giudici della cassazione era quello di un impiegato che, poco prima di dare le dimissioni, si era fatto trasmettere da un collega sul proprio computer aziendale una serie di dati e offerte commerciali; inoltre, in un secondo momento, l'uomo accedeva al server centrale dell'azienda, spostando altri dati riservati sul proprio indirizzo privato, utilizzandoli poi a vantaggio di un'impresa concorrente della quale, dopo le dimissioni, diventava co-amministratore.

I giudici precisano innanzitutto che la semplice riproduzione non autorizzata di file contenuti in un supporto informatico altrui non deve essere considerata come furto perché non si verifica la perdita del possesso della cosa interessata da parte del legittimo proprietario. Per la corte, infatti, che richiama la relazione sulle norme in materia di reati informatici, i dati e le informazioni contenuti nel file non sono compresi nel concetto di «cosa mobile». Esclusa anche la possibilità di contestare il reato di accesso abusivo a un sistema informatico con password aziendale per finalità estranee alle ragioni istituzionali.

Non serve, inoltre, la creazione di una nuova fattispecie penale, visto che la presa di conoscenza di notizie riservate può essere incasellata in altri reati. Come per la rivelazione di segreto professionale o di segreto industriale (per la corte non esiste una differenza apprezzabile). Illecito che consiste non solo nel rivelare il segreto professionale ma anche nell'impiegarlo a proprio o altrui profitto, come è avvenuto nel caso esaminato dalla Cassazione, visto che i dati riservati erano poi stati utilizzati dall'imputato per permettere alla società concorrente di formulare ai clienti offerte più convenienti.

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