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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:41.
Al fisco basta invocare l'indeducibilità dei costi da paesi black list per scaricare sul contribuente l'onere della prova sulla sussistenza delle condizioni per poterli dedurre a norma dell'articolo 110, comma 11 del Tuir. La Cassazione, con una sentenza depositata ieri (la 26298/2010) interviene su questo tema con una tesi "decisa" a favore del fisco in tema di onere della prova in materia di costi black list. La pronuncia afferma anche la retroattività della norma sanzionatoria contenuta nell'articolo 8, comma 3bis del Dlgs 471/1997 (in vigore dal 2007), pari al 10 per cento (con un tetto di 50mila euro) delle spese dedotte, invece della indeducibilità totale. Sanzione tuttavia dovuta solo – precisa la sentenza – se il contribuente non dimostra la deducibilità dei costi, mentre – sempre in caso di omessa indicazione separata – è ridotta a 2.065 euro se la prova delle condizioni previste dall'articolo 110 del Tuir viene fornita.
Le operazioni oggetto delle contestazioni del fisco, poi finite in giudizio, riguardavano l'anno di imposta 2002. Si trattava di un avviso di accertamento notificato alla Olivetti Spa nell'ottobre del 2005. I costi da paesi black list non erano stati indicati separatamente in dichiarazione e i giudici tributari avevano stabilito la loro deducibilità con una motivazione che non ha convinto la Cassazione.
Nel testo dell'articolo 76 del Tuir vigente all'epoca dei fatti contestati (poi diventato articolo 110, a sua volta modificato 4 volte dopo il 2004) richiedeva che le imprese estere svolgessero prevalentemente un'attività economica effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondessero a un effettivo interesse economico. Inoltre l'indicazione separata in dichiarazione era prevista come condizione necessaria per la deduzione (articolo 76, comma 7ter).
Dalla ricostruzione dei giudici, la sentenza di appello riteneva soddisfatte le condizioni poste dall'allora articolo 76 del Tuir, spiegando che «la Olivetti, nell'esercizio 2002, annovera tra i suoi numerosi fornitori alcuni soggetti residenti in Hong Kong, Malesia, Libano ed Emirati Arabi». Per la Cassazione questa è una mera descrizione, che non dà prova dell'interesse economico delle operazioni o dell'attività economica effettiva prevalentemente svolta dalle imprese fornitrici.