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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2010 alle ore 10:12.
Nelle pieghe dei conti pubblici spunta un nuovo debito dello stato nei confronti degli enti locali: sono 3,1 miliardi di euro. Per capire le proporzioni, il doppio abbondante rispetto ai tagli ai trasferimenti disposti con la manovra dell'estate scorsa, che ha spinto sulle barricate tutti i sindaci e occupa ora la trattativa sul federalismo fiscale.
A scoprire e quantificare il problema è la corte dei conti, in una delibera (la 26/2010) firmata direttamente dal neo-presidente della magistratura contabile, Luigi Giampaolino (i relatori sono Aldo Carosi e Fabio Viola). I 3,1 miliardi (ma potrebbero salire a 3,3 alla fine dell'analisi di una serie di poste ancora incerte) nascono da trasferimenti dovuti ma mai erogati dallo stato nei confronti di 223 fra comuni e province fra 1997 e 2002: l'obbligo giuridico rimane, perché l'assegno è previsto dalla legge, ma la copertura nel bilancio statale è quasi inesistente: con le risorse messe a disposizione oggi, calcola la corte, la partita non potrebbe essere chiusa prima del 2022.
A gonfiare il debito nei confronti di comuni e province sono state le regole che hanno disciplinato i trasferimenti statali fino al 2002: per gli enti «monitorati» (si tratta delle province sopra i 400mila abitanti e dei comuni sopra i 60mila), il ministero dell'Interno metteva a disposizione le somme previste dalle leggi (prima di tutto il fondo ordinario) nella tesoreria, ma l'erogazione effettiva scattava solo quando le disponibilità di cassa del comune o della provincia interessata fossero scese sotto un determinato livello.
Negli enti in cui le casse hanno retto meglio, o dove i trasferimenti previsti dalle norme erano tali da far superare i livelli minimi indispensabili all'erogazione, questi soldi non sono arrivati.
I ritardi hanno fatto scattare il meccanismo della «perenzione», che riporta le somme nella disponibilità dell'Economia; il debito è rimasto, ma queste risorse sono state dirottate ad altri scopi determinando la scopertura attuale.
Il problema, in realtà, non è nuovo, al punto che nei mesi scorsi, sottotraccia, ai tavoli tecnici del Viminale si è fatto il possibile per metterci mano. La novità sono i numeri: il Viminale, si legge nella relazione, non ha potuto fare altro che arrivare alle «impietose quantificazioni» riportate nelle tabelle; il compito di trovare le coperture è dell'Economia, che però sulla vicenda ha «serbato il silenzio». Il rischio, spiega la Corte, è «il consolidarsi del fenomeno debitorio nel tempo, che insieme ad altri possibili eventi della stessa natura, incrementerebbe a dismisura il debito reale dello Stato».