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Norme e Tributi Diritto

Stretta anti-pedofilia digitale

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:15.

Condannato per pedopornografia anche chi ha nell'hard disk del proprio computer file destinati al cestino e quindi cancellati. Lo precisa la Corte di cassazione con la sentenza n. 639 del 13 gennaio. La corte ha così respinto sul punto il ricorso presentato da uno psicologo che era stato sanzionato con 3 anni di reclusione dalla Corte d'appello di Palermo e l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici per essersi procurato attraverso l'accesso a internet, pagato anche con carte di credito, immagini di contenuto pedopornografico scaricato poi su tre computer.

Tra i motivi di ricorso, la difesa aveva sostenuto che la semplice visione di immagini non costituisce reato e quindi la condanna era da annullare. La Corte ha però ricordato che, sulla base della fattispecie di reato delineato dall'articolo 4 della legge 269 del 1998, la condotta penalmente rilevante consiste nel fatto di procurarsi consapevolmente o di disporre di materiale pornografico realizzato attraverso lo sfruttamento sessuale dei minori di 18 anni. Nel 2006, poi, la legge n. 38 ha inasprito ulteriormente le sanzioni prevedendo un'aggravante quando il materiale detenuto è cospicuo e riformulando anche, in parte, i contenuti della condotta rilevante sostituendo il fatto di disporre di materiale pornografico con la semplice detenzione.

Ora la Cassazione precisa che nella condotta di «procurarsi» o di «disporre» rientra sicuramente anche la "semplice" visione di immagini pedopornografiche scaricate dal computer perché, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell'interessato. In altre parole, la condotta di chi si procura materiale pedopornografico scaricato attraverso downloading da un sito internet a pagamento «offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce».

Inoltre, come risultava dall'accertamento tecnico compiuto in sede di merito, un elevato numero di immagini era contenuto negli hard disk dei computer di proprietà dello psicologo siciliano in modalità «non allocata»: si trattava cioè di files avviati al cestino e quindi cancellati. Ma che, scrivono i giudici, «erano pur sempre disponibili attraverso una semplice riattivazione dell'accesso al file. Quindi erano "detenuti" e pertanto "disponibili"». Solo per i files definitivamente cancellati si può dire che fosse cessata la disponibilità. Del resto, conclude sul punto la sentenza della Cassazione, lo stesso interessato aveva ammesso in sede di interrogatorio reso nel giudizio di merito che il materiale incriminato non solo era stato scaricato in maniera consapevole da internet ma che, prima di procedere alla sua cancellazione, era stato ampiamente visionato, escludendo così un'operazione di involontario scaricamento.

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