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Norme e Tributi Lavoro

Patti a termine con indennità . Il bilancio delle prime sentenze dopo l'entrata in vigore del collegato lavoro

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 15:26.

A due mesi dall'entrata in vigore del Collegato lavoro, sono già numerose le sentenze che hanno applicato in sede giudiziale alcune delle nuove disposizioni. Le norme che sono entrate immediatamente nelle aule di tribunale sono quelle che limitano il risarcimento del danno in caso di conversione del contratto a termine (articolo 32, commi 5 e seguenti).

Proviamo a sintetizzare le prime tendenze emerse sui numerosi risvolti applicativi di queste norme. L'articolo 32, comma 5, del Collegato lavoro stabilisce che in caso di conversione del contratto a termine il lavoratore ha diritto a un'indennità risarcitoria di importo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. I giudici si sono interrogati sulla natura sostitutiva o aggiuntiva di questa indennità rispetto al risarcimento del danno che veniva normalmente riconosciuto al lavoratore. La giurisprudenza appare unanime sul punto (salvo un caso isolato a Busto Arsizio): nel caso di conversione del rapporto di lavoro, il dipendente ha diritto solo a questa indennità, e non anche al risarcimento del danno; tesi coerente con il Collegato che qualifica la nuova indennità come «omnicomprensiva».
I giudici si sono occupati anche delle regole per calcolare l'indennità sostitutiva. Prima dell'approvazione del Collegato, il risarcimento del lavoratore doveva essere calcolato in questo modo: l'ultima retribuzione globale di fatto veniva moltiplicata per i mesi trascorsi dalla data in cui il lavoratore aveva offerto formalmente la propria prestazione (mora credendi) e, dalla somma risultante, venivano detratti i redditi percepiti svolgendo altri lavori (aliunde perceptum). Si tratta ora di capire se queste regole valgono anche per l'indennità sostitutiva. La questione dipende da come si qualifica il trattamento: se ha natura risarcitoria, risulta soggetto alle regole tradizionali, se invece ha natura indennitaria non si applicano i vecchi criteri. La giurisprudenza sembra escludere la natura risarcitoria dell'indennità e, di conseguenza, il suo importo viene calcolato prescindendo dalla data di messa in mora e dai redditi percepiti dal lavoratore. La nuova regola sull'indennità sostitutiva si applica a "tutti i giudizi in corso": i giudici di primo grado hanno quindi applicato senza remore la disposizione, con poche eccezioni. Alcuni Tribunali, tenendo conto delle impugnative costituzionali proposte, hanno emesso alcune pronunce di condanna parziale solo sulla conversione del rapporto, mentre hanno disposto la prosecuzione della causa per la definizione del risarcimento, in attesa di valutare lo sviluppo della questione in sede costituzionale.

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Tags Correlati: Corte di Cassazione | Norme sulla giustizia

 

Secondo un orientamento, maggioritario, la regola è applicabile anche in Appello e, di conseguenza, il risarcimento concesso in primo grado deve essere ricalcolato. Secondo una "minoritaria" lettura, il limite di indennizzo si applicherebbe solo ai giudizi pendenti in primo grado. Con riguardo all'applicazione in sede di legittimità, la Cassazione ha ritenuto applicabile anche in tale sede l'indennità risarcitoria.
Il Collegato prevede l'applicazione della nuova indennità sostitutiva del risarcimento ai "contratti a termine"; la legge usa una formula ampia, che non esclude espressamente tipologie contrattuali diverse dal lavoro a tempo determinato ex Dlgs 368/2001. Una delle tipologie contrattuali che, nelle prime sentenze, viene ricondotta alla disciplina dell'indennità sostitutiva è la somministrazione di manodopera; tale orientamento si fonda sul fatto che il contratto commerciale di somministrazione è funzionalmente collegato a un contratto di lavoro a termine che, in caso di esito positivo, viene convertito a tempo indeterminato, seppure nei confronti di un soggetto diverso dal datore di lavoro.

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