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Norme e Tributi Fisco

Controlli induttivi con un lavoratore assunto in nero

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 11:42.

La presenza di lavoratori in nero legittima l'accertamento analitico induttivo e quindi la rettifica di un maggior reddito da parte dell'Ufficio per ricavi non contabilizzati. Il contribuente che richiede il riconoscimento dei relativi costi per le retribuzioni deve fornirne prova. A precisarlo è la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 2593 depositata il 3 febbraio 2011.

A un contribuente, esercente attività di manifattura di biancheria personale, l'Agenzia accertava maggiori ricavi in conseguenza del riscontro della presenza di un dipendente non regolarmente assunto. Il contribuente aveva fatto ricorso, poi accolto, ai giudici della commissione tributaria provinciale contro l'accertamento il contribuente proponeva ricorso. Tuttavia la Commissione regionale, condividendo le tesi dell'Ufficio, riaffermava la legittimità della rettifica.

In particolare per i giudici alla base dell'accertamento analitico induttivo vi era un fatto incontestato: la presenza di un dipendente non regolarmente assunto per il quale lo stesso contribuente aveva ammesso la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata fra i costi dell'azienda.
Una circostanza che la Ctr ha ritenuto sufficiente affinché da un lato l'Ufficio elaborasse un ragionamento logico-giuridico in base al quale presumere l'esistenza di ricavi non contabilizzati determinandone l'importo mediante parametri riferiti alla qualifica e alle mansioni del lavoratore e, dall'altro, il contribuente fornisse prova contraria rispetto a quanto sostenuto dall'Agenzia. Prova però che non era stata fornita.

Al contribuente non restava perciò che la strada del ricorso in Cassazione, nel quale aveva lamentato soprattutto l'utilizzo da parte dell'agenzia delle Entrate una doppia presunzione. Secondo la tesi difensiva in realtà la presenza di un dipendente in nero dava la certezza esclusivamente di un maggior costo ma non anche di maggiori ricavi.

La Cassazione ha respinto il ricorso facendo rilevare come il divieto di doppia presunzione attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice. Non può ritenersi, invece, violato questo principio tutte le volte in cui (come nel caso di specie) da un fatto noto (presenza di un dipendente non regolarmente assunto per il quale lo stesso contribuente ha ammesso la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata) si risale (in forza di una presunzione legale seppure relativa) ad un fatto ignorato (maggiore redditività dell'impresa e, non semplicemente maggiori costi per retribuzione), in relazione alla quale per la Cassazione il contribuente non ha assolto l'onere della prova contraria.

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Tags Correlati: Agenzia Entrate | Corte Costituzionale | Corte di Cassazione | Ctr | Fisco |

 

C'è da segnalare che tale onere probatorio si sarebbe potuto dimostrare, ad esempio, attraverso le modalità di pagamento dei compensi o ancora facendo leva sulle stesse modalità attraverso le quali per i verificatori erano stati erogati emolumenti in nero. Peraltro il riconoscimento dei costi, come chiarito dalla circolare 32/E del 2006, non deve necessariamente conseguire a una prova del costo, ma al fatto che diversamente argomentando si rischierebbe, come segnalato dalla Consulta, l'incostituzionalità della rettifica induttiva che tenesse conto dei soli ricavi e non anche dei costi.

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