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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2011 alle ore 06:41.
Le consigliere (e i consiglieri) di parità non svolgono le proprie attività solo a favore delle dipendenti, ma anche dei lavoratori maschi, dei datori di lavoro e delle loro aziende. È quanto si ricava dalle norme vigenti e dalle prassi.
Numerosi, ancora, i luoghi comuni su questa figura e, in particolare, sui destinatari della sua azione, su chi possa essere titolare del ruolo e sui suoi compiti. Buona parte di datori e molti dipendenti, specie maschi, credono che la funzione pubblica possa essere svolta solo da donne, che miri a tutelare solo persone di genere femminile e sia diretta, esclusivamente, a censurare comportamenti datoriali discriminatori.
Queste e altre errate opinioni derivano in gran parte da un'insufficiente conoscenza delle norme relative al consigliere/a, vale a dire, principalmente, di quanto contenuto nel Codice delle pari opportunità (Dlgs n. 198/2006), che sostituendo l'originaria legge in materia (Dlgs n. 196/2000), individua non solo mandato, compiti e altre caratteristiche del soggetto, ma anche le principali "discriminazioni" sul lavoro che deve contrastare nonché gli ambiti di promozione di "lavoro positivo" che può favorire. Anche dal settore pubblico arriva un'evoluzione interessante: tramite i comitati interni alle specifiche organizzazioni, la consigliera favorisce il rispetto delle pari opportunità e persegue il benessere organizzativo sul lavoro.
Il ruolo può essere ricoperto, indifferentemente, da uomini o donne (articolo 12 del Dlgs n. 198/2006) anche se finora sono state nominate, principalmente se non esclusivamente, solo donne.
Le/i consigliere/i fanno parte di una capillare organizzazione strutturata su tre livelli territoriali (nazionale, regionale e provinciale) e sono tali per nomina dal ministro del Lavoro di concerto con quello delle Pari opportunità; quelle regionali e provinciali, invece, su designazione da parte delle Regioni e delle Province. La funzione è svolta per quattro anni, rinnovabili, al massimo, per due volte.
La figura del/la consigliere/a, per legge, tutela ogni persona, e, di conseguenza, può rilevare trattamenti discriminatori di donne rispetto ad altre donne o anche «disparità di trattamento» ai danni di uomini (articolo 25). Principali profili della sua "mission" istituzionale negli ambienti di lavoro sono il rispetto del principio di non discriminazione e il promuovere le pari opportunità sul lavoro (articolo 15).