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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 12:04.
I T-red saranno pure difettosi e colpevoli di numerose "multe pazze", ma non sono fraudolenti. E quindi non si possono sequestrare. A questa conclusione approda la Corte di cassazione con la sentenza n. 5317 depositata ieri. La Corte ha così annullato senza rinvio un'ordinanza del tribunale di Verona che aveva confermato il sequestro preventivo di T-red nell'ambito di un procedimento che vedeva indagato il progettista per aver fornito a numerosi Comuni questi apparecchi per la rilevazione automatica di infrazioni al semaforo rosso per la cui produzione e commercializzazione «aveva – secondo l'accusa – fraudolentemente ottenuto l'approvazione ministeriale». La ricostruzione dell'accusa aveva rilevato che i frequenti errori compiuti dai T-red erano dovuti a un vizio della scheda relè per la trasmissione del segnale del semaforo alle telecamere di ripresa e che la frode consisteva nell'omettere di sottoporre il relè al controllo degli organi tecnici del ministero dei Trasporti.
La Corte fa, però, notare come lo stesso ministero dei Trasporti ha chiesto al Consiglio superiore dei lavori pubblici di chiarire se il concetto di prototipo da sottoporre all'approvazione prevista dal Codice della strada considerava l'apparecchiatura completa di tutte le componenti per il funzionamento oppure solo nella sua versione essenziale con ampio spazio per adattamenti. Insomma, l'approvazione del Consiglio comprendeva la versione con relè? La risposta arrivata dal Consiglio era che il concetto di prototipo andava definito applicando «il criterio di identità funzionale sostanziale»; via libera quindi alla versione più restrittiva, quella senza relè. Così, il ministero dei Trasporti ha chiarito che la scheda relè non faceva parte integrante dell'apparecchio e non era quindi soggetta alla procedura di approvazione. Una conclusione che ha tolto spazio alla tesi dell'accusa, «perché ha definitivamente chiarito che la scheda relè, costituendo una delle possibili modalità di collegamento dell'apparecchio al semaforo, rappresentava un elemento accessorio che non occorreva sottoporre a controllo per l'approvazione». Il mancato controllo della scheda non fu, nella ricostruzione, quindi, dovuto nè a frode nè a errore. Quindi l'accusa, fondata sul presupposto che gli apparecchi venduti ai Comuni, essendo accompagnati da un'attestazione di conformità a un prototipo approvato con l'inganno, avrebbero formato oggetto di una fornitura pubblica diversa da quella concordata e quindi fraudolenta, viene a cadere.