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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 06:42.
Contrastare un atto di diffamazione sul web è un po' come tentare di uccidere un'idra dalle tante teste: una ne mozzi, tante altre ne nascono. «Ho clienti che sono diffamati su internet da dieci anni e sono ormai disperati: gli articoli che li riguardano continuano a essere riprodotti su vari siti, anche posti su server esteri», spiega Fulvio Sarzana, avvocato esperto di diritto su internet. Al solito, infatti, succede così: l'articolo o il blog sequestrato in via preventiva è ancora disponibile sui motori di ricerca (nella "cache", accessibile da qualunque utente). Da qui altri utenti lo copiano (in parte o in tutto) e lo pubblicano su vari siti o addirittura lo mettono in formato di file su circuiti peer to peer. La notizia del sequestro fa da cassa di risonanza e spinge infatti alcuni a duplicare i contenuti dell'articolo.
Di qui il paradosso: «L'attività di diffusione di un articolo diffamante è illegale ma è comunque impossibile da bloccare sul web», dice Sarzana. Gli avvocati esperti del settore ci provano lo stesso. Chiedono al giudice non solo il sequestro dell'articolo ma anche di tutti i luoghi in cui viene esposto. Dopo il primo sequestro, chiedono quindi all'autorità giudiziaria di estenderlo ad altri luoghi che offrono lo stesso contenuto. «È un'impresa sovraumana, perché devi monitorare di continuo il web e chiedere tanti ulteriori sequestri. Ma loro sono molti, l'avvocato di chi si sente diffamato è uno solo», continua. E duplicare un contenuto è molto più rapido che ottenerne il sequestro, per la natura stessa di internet, certo molto più flessibile e istantanea della giustizia italiana. Non solo. Se il contenuto è duplicato su server esteri la faccenda è molto più complicata. «Di solito si agisce chiedendo al giudice l'oscuramento via dns o dell'ip del server, ma questo è concesso molto di rado. In Italia non è mai successo per casi di diffamazione – continua Sarzana – ma è stata l'arma usata contro The Pirate Bay». È il famoso motore di ricerca di file collegati a contenuti pirata, adesso oscurato agli utenti italiani.
Oscurare via dns o addirittura l'ip di un server è tuttavia un'azione molto forte, che coinvolge anche gli operatori internet. È un'arma tutt'altro che chirurgica: equivale a rendere inaccessibile, dall'Italia, non solo il singolo contenuto ma l'intero sito o piattaforma esteri su cui è stato pubblicato. Per lo stesso motivo, «nessuno è mai riuscito a togliere subito un articolo diffamante dai link del motore di ricerca», dice Sarzana.