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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 09:57.
Il contraddittorio per gli studi di settore non può essere ridotto a una pura formalità. Ed è quanto accadrebbe se l'ufficio non desse conto nell'atto di accertamento del perché non si tiene conto delle argomentazioni del contribuente per "smontare" i risultati di Gerico (o, precedentemente, dei parametri). L'ordinanza della Cassazione 4582/2011, depositata ieri, conferma l'orientamento che la stessa Corte aveva espresso nella recente pronuncia 3923/2011 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 18 febbraio scorso) sulla necessità non solo di far svolgere il contraddittorio, perché l'accertamento sia valido, ma anche di esprimere la confutazione degli argomenti del contribuente contro i risultati dell'accertamento parametrico.
Nello specifico la Corte conferma una sentenza della Ctr del Lazio secondo la quale, perseverare nell'atto di accertamento, come se nulla fosse, «nonostante gli elementi di motivazione offerti dal contribuente», porta al risultato di «trasformare un adempimento sostanziale (contraddittorio) in una formalità senza senso ed effettuata solo ed esclusivamente perché dovuta, in palese contrasto con la volontà del legislatore». Tradotto, si potrebbe dire che i contribuenti vanno presi sul serio.
E sul serio in questo caso andava presa l'indicazione data dal proprietario di una ferramenta che aveva spiegato all'amministrazione come avesse dovuto diminuire i prezzi di vendita per affrontare la concorrenza dei vicini supermercati e poter restare sul mercato. L'agenzia delle Entrate, invece, aveva spiegato lo scorso anno (circolare 19/E/2010) che il contraddittorio era necessario, ma non l'esplicitazione dei motivi per cui non si accettavano le controdeduzioni dei contribuenti. Una posizione che forse ormai andrebbe cambiata.
Il testo dell'ordinanza