Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 08:15.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 117/2011 del 12 gennaio scorso, conferma il proprio orientamento (sentenze n. 43/2010 e n. 321/2009) sulla legittimità dell'articolo 53, comma 2 del decreto legislativo 546/92, modificato dall'articolo 3-bis, comma 7, del decreto legge 203/2005, nella formulazione in vigore dal 3 dicembre 2005: è inammissibile l'appello tributario non notificato a mezzo ufficiale giudiziario qualora l'appellante non faccia seguire alla notifica anche il deposito della copia dell'appello presso la segreteria della commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza impugnata.
La materia, che è già stata oggetto di declaratorie di manifesta infondatezza in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, è stata nel frattempo sollevata da altri giudici di merito (Ctr dell'Emilia-Romagna, ordinanza del 3 novembre 2009; Ctr dell'Umbria, ordinanza del 2 aprile 2009; Ctr per la Toscana, ordinanza del 6 ottobre 2009, rispettivamente «Gazzetta Ufficiale», I Serie Speciale, n. 26 del 30 giugno 2010; n. 42 del 20 ottobre 2010; n. 46 del 17 novembre 2010).
Nel caso di specie il giudice remittente individuava negli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione i parametri vulnerati dalla norma processuale. La Corte, dopo aver censurato il giudice a quo (per aver omesso alcuna motivazione sulla presunta violazione dell'articolo 2 della Costituzione), conferma i suoi ultimi indirizzi sulla legittimità dell'articolo 53, comma 2, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione.
Si evidenzia, richiamando la sentenza n. 321/09 e l'ordinanza n. 43/10, che, con il nuovo articolo 53, comma 2, il legislatore ha voluto fornire alla segreteria del giudice di primo grado una notizia tempestiva e documentata della proposizione dell'appello, per impedire un'erronea attestazione del passaggio in giudicato delle sentenze di primo grado.
L'inammissibilità dell'appello, quindi, non vulnera i principi di eguaglianza e ragionevolezza né il diritto di difesa del ricorrente in appello.
Il legislatore, nel ragionevole esercizio della discrezionalità che gli appartiene – afferma la Corte – con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, ha conformato in modo diverso le due forme di notificazione: l'una eseguita "in proprio"; l'altra a mezzo ufficiale giudiziario, obbligato all'immediato avviso scritto dell'avvenuta notifica dell'appello al cancelliere del giudice che ha emesso la sentenza impugnata in base all'articolo 123 delle disposizioni attuative del codice di procedura civile. La natura pubblica del suo ufficio e lo specifico dovere di avviso giustificano la mancata previsione di un effetto di decadenza (inammissibilità) correlato all'inosservanza di questo dovere. La peculiare facoltà di notificare l'appello "direttamente", in base all'articolo 16, del decreto legislativo 546/92, propria del solo processo tributario, è coerente con la posizione dell'appellante come dominus del sub-procedimento di notifica e degli adempimenti conseguenti. Al notificante rimangono, perciò, riferibili il compimento o l'omissione di tali attività, proprio perché la decisione di non avvalersi dell'ufficiale giudiziario è rimessa a una sua scelta e non è subordinata ad alcuna condizione. Tale deposito deve essere eseguito entro il termine perentorio, come già chiarito dall'ordinanza 43/2010, per la costituzione in giudizio dell'appellante, alla luce degli articoli 53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del decreto legislativo 546/92, anche per consentire l'esame preliminare del ricorso da parte del Presidente in base all'articolo 27 del decreto 546/92. Quindi l'appellante non si salva dalla inammissibilità dell'appello se, non avendovi provveduto in tempo utile per la costituzione, tenti una sanatoria attraverso il deposito prima dell'udienza di trattazione dell'appello.