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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 07:38.
La previdenza riformata dal decreto «salva-Italia» apre due porte per l'assegno: «dal 1° gennaio 2012», spiega il decreto legge, le vecchie strade verso l'uscita dal lavoro sono sostituite dalla «pensione di vecchiaia» (dopo i 66 anni, per le donne 62 dal 2012 e 66 dal 2018) e dalla «pensione anticipata», quella che si ottiene dopo 42 anni (41 per gli uomini).
In questa architettura, delineata così nitidamente nelle sue linee generali, si apre però anche una «terza via»: per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, e quindi viaggia verso un trattamento interamente calcolato con il metodo contributivo, la pensione può arrivare anche a 63 anni, a patto che si abbia alle spalle almeno 20 anni di versamenti contributivi.
Nel meccanismo che lega il valore dell'assegno solo al monte versato nei periodi di lavoro, il trattamento previdenziale dipende anche dalla regolarità con cui si sono versati i contributi. Nel mondo dei lavori flessibili e discontinui, quindi, il solo requisito anagrafico rischia di non essere sufficiente a garantire al pensionato un livello di reddito sufficiente per evitare problemi eccessivi.
Per la stessa ragione, la regola fissa anche un terzo paletto: la porta si aprirà solo se il trattamento previdenziale a cui il 63enne aspirante pensionato può ricevere sarà almeno pari a 2,8 volte l'assegno sociale.
La «terza via» della previdenza riformata dal decreto «salva-Italia» è interessante per varie ragioni. Prima di tutto, rompe lo schema rigido fondato su 66 anni di età o 42-41 anni di contributi (entrambi incrementati nel tempo in base alla dinamica della speranza di vita), e offre una chance in più a chi è entrato nel mondo del lavoro dopo la messa in mora del metodo retributivo. Tutto il sistema, però, è fondato su un binomio che accanto alla «libertà di scelta» prevede anche la «responsabilità» di garantirsi un assegno previdenziale sufficiente.
Da questo punto di vista, è degno di nota anche il meccanismo pensato per aggiornare periodicamente l'importo-soglia che permette il pensionamento dei 63enni: la sua evoluzione sarà collegata a quella del prodotto interno lordo, attraverso un parametro che misura l'evoluzione quinquennale del Pil in una serie storica calcolata dall'Istat appositamente per fissare le nuove soglie nel tempo.
Si completa così un'architettura modulare, che ha al proprio interno gli strumenti per auto-aggiornarsi nel tempo senza bisogno di continui interventi esterni. Con una precauzione, implicita nel principio «tanto versi, tanto prendi»: con lavori troppo discontinui, o contributi troppo bassi, la porta rimarrà sbarrata.
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