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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2011 alle ore 09:35.

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di Gianni Trovati
MILANO - Mentre la politica discute sulle modalità del ritorno dell'imposta sulla prima casa, imprese ed esercizi commerciali fanno i conti per l'anticipo dell'Imu al 2012. E non sono conti piacevoli.

L'Imu rilanciata dal decreto «salva-Italia» ripropone il problema originario della nuova imposta sul mattone, aggravandolo. La scorsa primavera, quando nel decreto sul federalismo dei sindaci era comparsa l'aliquota di riferimento al 7,6 per mille, imprese, artigiani e commercianti avevano scoperto che l'Imu avrebbe portato con sé un rincaro medio di quasi il 20% rispetto all'Ici pagata oggi, senza possibilità di compensarlo con l'addio all'Irpef sui redditi fondiari come sarebbe accaduto ai contribuenti Irpef. Per questa ragione, il decreto correttivo varato in via preliminare dal Governo Berlusconi era corso ai ripari, limando di un punto l'aliquota.

Nella nuova manovra, l'Imu torna al 7,6 per mille e si accompagna all'espansione della base imponibile, a causa dei moltiplicatori che aumentano del 60% il valore catastale ai fini Imu anche per negozi e uffici, mentre nel caso degli alberghi e degli immobili strumentali alle imprese l'incremento è del 20 per cento. Cresce la base imponibile, sale aliquota, dunque l'imposta esplode. Considerando l'aliquota media attuale dell'Ici (fra il 6,4 e il 6,5 per mille), nel caso di esercizi commerciali e uffici l'effetto combinato di base imponibile determina incrementi medi del 90 per cento, mentre alberghi e fabbriche vedono in prospettiva un aumento medio del 42,5 per cento.

Nel passaggio dalla teoria alla pratica, la situazione può anche peggiorare, perché il rincaro effettivo dipende dalla distanza fra l'Ici reale oggi chiesta dal Comune e l'aliquota di riferimento della nuova imposta. A Torino, per esempio, l'Ici attuale è al 6 per mille, e un immobile strumentale da 2mila metri quadrati nella zona industriale della città vedrà crescere il conto fiscale presentato dal Comune da 15mila a 21mila euro all'anno. Nei Comuni dove l'aliquota ordinaria attuale è al 5 per mille (accade per esempio a Milano, anche grazie al «congelamento» tributario che vieta ai sindaci di aumentare i tributi fin dal 2008), l'impatto del nuovo regime sarà anche più drastico.

Certo, in nome dell'autonomia fiscale, la manovra lascia ai sindaci la possibilità di ridurre le aliquote, portandole giù fino al 4 per mille quando l'immobile non è produttivo di reddito fondiario. Ma a parte il fatto che, come mostra il grafico a fianco, in alcuni casi nemmeno le aliquote al minimo riescono a evitare rincari rispetto al quadro attuale, lo stato della finanza comunale e l'obbligo di girare allo Stato metà dell'Imu sugli immobili diversi dalla prima casa rendono quasi impossibile attuare davvero qualche taglio d'aliquota. Lo stesso ministro Giarda, ieri, ha riconosciuto la necessità di ritoccare il meccanismo, ma senza novità sostanziali il rischio per imprese, uffici e la gran parte dei rischi commerciali è alto. Tanto più che le aliquote, oltre che verso il basso, possono volare anche in alto, portando il qualche caso a moltiplicare per 4 o per 5 l'imposta.

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